sabato, dicembre 19, 2009

ROVIGO D'INVERNO: IL "BERSAGLIOTTO DI NEVE"



Stupore ed invidia stamane tra le plebi etrusche quando è stato dato l'annucio via etere della costruzione nella città di Rovigo di un imponente pupazzone di neve ritraente l'ormai nota mascotte rodigina BERSAGLIOTTO. Alto 42 metri, l'imponente pupazzo, è stato eretto nella centralissima Piazza Vittorio Emanuele per la gioia e l'orgoglio cittadino.  I lavori, febbrili, sono iniziati ier sera alle prime avvisaglie della tormenta di neve che si è abbattuta nel Polesine. Uno stuolo di volenterosi zittadini con la passione per la scultura e le bevande alcooliche, si sono immediatamente attivati per erigere il monumento il quale alle prime luci di questa pallida giornata dicembrina è stato inaugurato tra la gioia e il tripudio degli improvvisati artisti. " E' stata dura..." ci confessa  ZINETTO CAVEDAN uno dei promotori dell'originale iniziativa, "....ma  questa ce la invidieranno tutti......un mio amico mi ha detto che si vede anche dai Colli Euganei! Si fottano gli etruschi....Solo noi abbiamo il Bersagliotto di Neve!!". Una vena di sano campanilismo compiaciuto la ritroviamo anche nelle parole di ASTOLFO VENDEMMIATO, di professione frequentatore di sale ippiche, il quale ha dichiarato commosso:" Per noi zente di Rovigo il BERSAGLIOTTO è una figura che ci identifica collettivamente. Se potessi un giorno diventare come lui si realizzerebbe il sogno di tutta una vita!". Ma non tutti sono concordi. Infatti stamane uno sparuto gruppo di contestatori si è presentato in piazza urlando ai quattro venti: "NO SEMO AL ZIRCO, BUTE' ZO CHEL PAJAZO!". Dopo alcuni momenti di tensione culminati in un reciproco scambio di palle di neve tra le due fazioni, la calma è stata riportata dal Sindaco Melchiorri il quale si è presentato a bordo di una slitta trainata da 12 vigili urbani. Ancora in vestaglia da camera e babucce il primo zittadino ha esortato i più facinorosi a chetarsi e dopo un breve saluto si è appisolato in piedi sulla slitta. Sbigottiti i contendenti sono stati colti da una profonda malinconia e quindi si sono recati nei vicini bar ad ubriacarsi fraternamente. Musi lunghi intanto nei corridoi di Palazzo Tassoni ad Adria, dove la notizia non è stata presa bene dal Sindaco Bobo. "E' un colpo basso..." ha confessato al prode Pino Sbando il primo cittadinno etrusco, ".... adesso co' sta storia del pupason molti possibili visitatori della Capitale Etrusca d'Oriente si orienteranno verso Rovigo e i suoi negozi! Ma sapremo reagire con una serie di degne iniziative quali il "Siluro di Ghiaccio" e la posa della prima pietra della metropolitana Etrusca!"
Il popolo etrusco attende ed intanto si è già formato il "comitato per il ritorno della sede vescovile ad Adria".

mercoledì, dicembre 09, 2009

Ennesime proteste da parte di PIERO ITLE' from the space



Ier sera, mentre mi dedicavo alla scrittura di un saggio sulla Aedes albopictus (volgarmente detta zanzara tigre), sono stato raggiunto dall'ennesimo messaggio direttamente dalla DER ADLER in orbita geostazionaria sopra la terra. Mittente il solito Piero Itlè. Ovviamente posto.




Orkenmadonnez di un Erre, per l'ennesima volta sono qui a lamentarmi del servizio da schifo che mi offri. Inutile ricordarti che il vettovagliamento che periodicamente fai giungere con vettore "Bartolini Servizio Spazio" è a dir poco indecente. Ti avevo sollecitato più volte di migliorarlo ma anche l'ultima fornitura è stata degna della tua incapacità. Spacciare cibo per gatti per prelibate "pietanze energetiche tritate" per le mie truppe di cloni è una vera sconcezza e se non fosse per il fatto che quel debosciato di Marrazzo s'è fatto beccare a soffiare "camerdarie" ti avrei volentieri denunciato a "Mi manda Rai Tre".  E che vogliamo dire della manutenzione idraulica della DER ADLER? Ieri sera sono stato al sottolivello 485/N54 a farmi una cagata nella latrina presurizzata n°28. Nel bel mezzo dell'opera il compensatore gravitazionale s'è spento di botto. Inutile dire che ho perso l'aderenza con la tazza e per la latrina hanno iniziato a volteggiare stronzi. Mi si è sporcata tutta la giacca nuova che mi ero fatto fare su misura da Armani... che Odino ti maledica! Oltre a ciò mi avevi promesso il numero telefonico di una misteriosa razza extraterreste in possesso di incredibili segreti che mi avrebbero conferito immani poteri....UN CAZZO! Mi ha risposto il canile di Tirana. Te lo dico ancora una volta maledetto miserabile: mi stai rompendo i coglioni! Vedi di darti una regolata o ti mando giù una squadra di WAFFEN SS CLONI a drizzarti la schiena. Heil Pippo!

giovedì, dicembre 03, 2009

QUEZITO EXZISTENZIALO N° 43.987


Stamane, mentre portavo a termine l'ultimo capitolo del mio saggio "DIFFUSIONE DELLA LEBBRA NELL'AGRO PONTINO TRA IL I° E IL II° SECOLO AVANTI CRISTO" sono stato raggiunto da un messo del comune di HELSINKI il quale mi ha consegnato un papiro con priorità assoluta proveniente da un mio fanz scandinavo. Ovviamente ho riposto carta, penna e calamaio per dedicarmi alla soluzione del difficile quesito esistenziale dell'amico finnico.

"Illustrissimo Erre, fine estimatore di prodotti caseari, eclettico crapulone, stimato cardiochirurgo, chi ti scrive con l'animo affranto è un tuo seguace da anni. Mi chiamo Diocleziano Vattarajnnasajonen di professione disonesto fallito con molteplici carichi pendenti. Ultimamente ho cercato di modificare il mio comportamento sociale frequentando corsi di recupero e di rinserimento sociale presso il SERT finlandese con lusinghieri risultati. Innanzitutto ho smesso di assumere assenzio e ho sospeso il consumo di sostanze psicotrope. Pur tuttavia una vita scellerata ha segnato in profondità il mio carattere. In particolare continuo ad avere comportamenti bizzarri e privi di senso logico. Per ovviare a ciò mi sono presentato al campionato mondiale di staticità statuaria indossando la casacca biancoazzurra della mia nazione. Nonostante sia rimasto in piedi fermo immobile con uno sguardo ebete stampato in faccia per 368 ore, sono stato raggiunto da un giudice evidentemente corrotto il quale mi ha inusitatamente squalificato adducendo il fatto che me ne stavo con le balle di fuori generando inbarazzo tra il pubblico. La cosa mi ha letteralmente atterrito e sono ricaduto in uno stato depressivo maniacale. odio questo mondo crudele che non ammette il mio riinserimento nella società. Sono tentato di prendermi a martellate nei maroni per attirare l'attenzione sul mio avvilente caso. Tu cosa mi consigli o mio vate indiscusso?"

Carissimo Diocleziano, non esitare: FALLO!

lunedì, novembre 23, 2009

ACCORATO APPELLO DI FAUSTELLO FAUSTELLI


Stamane, mentre terminavo il mio ultimo articolo per la nota rivista internazionale "POLIMERI & FINANZA CREATIVA", sono stato raggiunto da un cane San Bernardo il quale nella botticella appesa al collare portava un messaggio liquido del noto nobile etrusco FAUSTELLO FAUSTELLI. Ligio al principio di diffusione capillare dei liquidi posto con mano ferma e sicura.


"Stimato nobile Erre, valente oplita, framboliere indiscusso, irraggiunto collezionista di biancheria intima femminile, chi ti scrive è il tuo stimato amico FAUSTELLO FAUSTELLI provibiro del MAE (Movimento Aristocratico Etrusco). Da alcuni giorni il mio animo nobile si torce sotto il peso di un angosciante dilemma il quale spero tu mi aiuterai a risolvere. Come tu ben sai da alcuni giorni l'agorà della capitale etrusca d'oriente è agitata dal tormentato provvedimento europeo sui crocefissi. Orbene io sono uno strenuo difensore della presenza del simbolo cristiano alle pareti delle scuole e non solo. Trovo barbaro il volerlo togliere privando così i giovini di questo allegro simbolo. Altresì la sua presenza dovrebbe essere obbligatoria in tutti i luoghi pubblici come stazioni, aeroporti, edicole, tabacchini e anche nei bagni pubblici. Ho comunque un piccolo problema di coscienza dato che sono un noto e riconosciuto bestemmiatore in particolare mentre gioco a ramino in bar dalla Pina. Oltre a ciò posseggo molto materiale pedopornografico del quale non vorrei privarmi. Detto ciò tu che ne penzi della mia posizione?


Carissimo FAUSTELLO capisco il tuo cruccio. Mi auguro che la tua riflessione ti porti all'embolia liberando così il mondo dalla tua inutile presenza. Pur tuttavia mi permetto di darti un consiglio: comprati un crocefisso in mogano dal peso di 45kg e mettitelo al collo in modo da apprezzare in maniera più viva il peso di tale simbolo. Tutto il resto è noia. Addio.

venerdì, novembre 13, 2009

QUEZITO EXISTENZIALO n° 337.829



Questa sera, mentre combattevo la mia personale battaglia contro gli scarafaggi domestici a colpi di lanciafiamme, sono stato raggiunto da un commovente appello di Milva, giovine afflitta da perplessità ezistenziale. Sensibile alla richiesta d'aiuto della simpatica ragazza ho sospeso lo sterminio degli inutili insetti per prestarle udienza. Placidamente posto.


Eroico Erre, effendi, ammaestratore di rinoceronti, divino tenore, sublime amante, gran parcheggiatore abusivo, chi ti scrive in ginocchio sui ceci è la tua fedelissima Milva ragazza divorata da un terribile dubbio. Ebbene da 3 mesi mi sono fidanzata con Gianginetto un ragazzo problematico ma molto profondo di 37 anni suonati. Sono stata colpita dal suo senso estetico e dalle sue rime baciate che compone sotto l'effetto dell'etere. Oltre a ciò è davvero un gran artistone il quale fa spaziare la sua opera creatrice dalla pittura, alla fotografia, alla poezia. Hanno riscosso molto successo i suoi quadri neri nei raffinati circuiti culturali di Bratislava e sono andate a ruba le sue foto ritraenti sassi. Nonostante il suo perenne alito fecale e la scarsa igiene intima io lo adoro ma da qualche giorno non mi sento più molto sicura di questi miei profondissimi sentimenti amorozi. Infatti  Gianginetto dopo l'ultima bordata di psicofarmaci assunti durante un rave si è convinto di essere pure un fotomodello nonchè un pornodivo. Da allora gira nudo come un verme mettendomi alquanto in imbarazzo. Ieri i miei genitori ci hanno visto insieme per le vie del centro e sono stati entrambe colti da infarto. Sono indecisa, devo seguirlo in queste sue bizzarre esternazioni o devo farmi monaca? Ti prego aiutami.

Simpatica Milva, mi commuove il tuo dubbio amletico e mi rattrista il tuo cruccio. Personalmente credo che il tuo fidanzatino non andrebbe toccato neppure con un bastone ma si sà: l'amore è cieco. Ora che sei rimasta orfana, dopo la repentina dipartita dei tuoi genitori, prima che Gianginetto trasformi la tua casa in un bivacco per malfattori vendi l'immobile e trasferisciti in una località sconosciuta. Il tempo è galantuomo e saprà lenire le ferite del tuo cuore. Non preoccuparti di Gianginetto tra un paio di anni sarà morto o farà l'assessore in qualche amministrazione pubblica. Ed ora addio mia giovine, mille impegni m'attendono.

giovedì, novembre 12, 2009

Quezito existenziale 94.185


 Domenica pomeriggio, mentre portavo a termine una seduta di psicoterapia ad un cane lupo in crisi di identità convinto di essere un conducente di pullman, sono stato raggiunto da un messaggio dello sfortunato politico laziale Marrazzo. Data l'impellenza del consiglio richiestomi ho congedato il cane lupo il quale è ritornato a guidare un pullman carico di giapponesi in visita nel DeltaPolesano ai 170 Km/orari ed ho subito prestato la mia modestissima attenzione al tapino. Serenamente posto.


"Venerabile Erre, uomo pio, devoto, irraggiungibile trapezista, insuperato guardiacaccia, subacqueo provetto, eccelso anfitrione, chi ti scrive con le pive nel sacco è un tuo lettore indefesso: MARRAZZO MARRAZZO.
Mi sono permesso di scriverti solamente dopo aver letto il tuo mirabile saggio: "PSICOLOGIA IN 2 ATTI." diventato testo fondamentale in tutte le Università per sordomuti del mondo per l'esame di geometria piana. Tosto vengo al problema esistenziale che sta consumando la mia inutile vita. Come tu ben sai, dopo una encomiabile carriera di giornalista d'assalto, probo ardito del consumatore, tribuno della plebe che con pazza ed irresponsabile audacia ha sfidato centinaia di truffatori, mai dono, mai supino, ho intrapreso la difficile impresa politica. Forte del mio mandato popolare ho dato fondo a tutte le mie energie intelletuali nella difesa del volgo. Sfortunatamente il peso di tale titanica impresa ha determinato in me l'accuirsi di una debolezza. Beato l'uomo che nel suo dolente cammino combatte la debolezza, ma, per colmo di sfortuna, non è stato il mio caso. In preda ad una depressione indescrivibile ho ceduto, opponendo ben poco sforzo, ad una mia lieve inclinazione: il rapporto, contro pagamento, di prestazioni sessuali con il banale consumo di droghe stimolanti accluse. Grandi incarichi comportano gravi responsabilità e con senso di responsabilità ho bruciato interi stipendi da operaio per soddisfare questi miei puerili appetiti. Ci sono rimasto molto male dall'essere stato scoperto e con senzo di responsabilità ho lasciato l'incarico e con quei quattro soldi che mi sono messo da parte, sdegnosamente mi sono ritirato sull'Aventino. Sono molto afflitto ora dato che la deprezziione, male sottile come la polvere, m'ambascia. Mia moglie ogni mattino, a giorni alterni, mi sputa in faccia o mi schiaffeggia, la prole mi ingiuria e mi scherza. Ti prego mia luce illuminami. Firmato un uomo in coriandoli.

Caro Marrazzo ho prestato molta attenzione al tuo caso e sono giunto ad una ponderata conclusione: TUTTO TEMPO PERSO! Non c'è niente da fare, è tutto inutile: falla finita.

domenica, ottobre 04, 2009

NUOVA CHIESA RIFORMATA CICCIUZZIANA ETRUSCA



Si è svolto ieri sera, presso la Nuova Casa Del Culto Cicciuzziano, la prima funzione liturgica della Nuova Chiesa Riformata Cicciuzziana Etrusca con la quale si sono ordinati quattro nuovi pastori di anime. Sempre interessato al sorgere di nuovi culti di carattere messianico ed ecumenico ho deciso di inviare il prode Pino Sbando ad assistere all'inaugurazione. Fedele alle normative vigenti sul pieno rispetto democratico nonchè panciacifista e pacifondaio dell'informazione, posto con assoluta tranquillità.
Pino Sbando: Adria ore 21 Via Bettola, davanti alla nuova sede  della Casa del Culto Cicciuzziano troviamo un gruppo di adepti della Nuova Chiesa Riformata Cicciuzziana Etrusca e tra loro i nuovi quattro pastori che in questa serata di gaudio e felicità verranno ordinati dal Pastore Capo Ermete Bombonato. Mentre si ungono a vicenda con del lardo di colonnata mi avvicino furtivo e chiedo loro di rilasciarmi qualche dichiarazione. Benissimo, cari cittadini etruschi, mi trovo qui con alcuni fedeli cicciuzziani e ho la fortuna di entrare in contatto con i quattro nuovi pastori. Iniziamo con Adelmo Bombardi la nostra intervista. Caro Adelmo come ci si sente in questi attimi prima dell'ordinamento?
Adelmo Bombardi: Bhe.... non posso nascondere la mia euforia e l'emozione e neppure i violenti dolori di panza dato che è tutto il giorno che giro nudo e mangio in maniera disordinata. Non vorrei esser colto da diarrea mentre vengo ordinato, l'idea di smerdare il pavimento della casa del culto mi atterisce. Comunque credo che questo sia il giorno più importante della mia vita da quando ho assunto in me il "verbo" di Cicciuzzo. Spero di essere un degno discepolo e un buon pastore ma ora scusami ho un ecumenico rutto da rivolgere ai fedeli.
Pino Sbando: bene, mentre Adelmo Bombardi si prodiga nel suo ufficio sacramentale passiamo a Elisabetto Brancaja, il più giovane e più nano dei quattro. Carissimio Elisabetto diciamolo con franchezza: non sei un bello spettacolo per gli occhi ma nel tuo sguardo si denota la sacra estasi, come puoi spiegarcela codesta condizione?
Elisabetto Brancaja: Cicciuzzo è attorno a me, sopra di me e parzialmente dentro di me avendone divorato un pezzo durante il suo esodo etrusco.  Mi sento un uomo nuovo, prima dell'incontro con la fede ero un debosciato afflitto dalla forfora e passavo tutta la mia vita in tormentate giornate dedicate al nulla. Ora invece mi ingolfo di salumi sin dal mattino e durante i pomeriggi sto chiuso nella mia angusta cella a leggere passi della Bibba Cicciuzziana e a visionare pornografia a manetta.... un uomo ridonato alla vita!
Pino Sbando: Grazie Elisabetto e complimenti per le profonde occhiaie sintomo evidente di una dedizione onanistica di tutto rilievo. Ma ecco con noi Ginnasio Barile mentre si disseta da un tino ricolmo di mosto e mosconi morti. Carissimo Ginnasio stento a riconoscerti da quando eri un noto tossicodipendente. Spiegaci questa tua repentina conversione religiosa.
Ginnasio Barile: già, caro Pino, proprio di una conversione si tratta. Il tempo in cui rubavo le pensioni alle vecchie fuori dall'ufficio postale sono un lontano ricordo. Come è un ricordo il mio periodo Sertiano fatto di visite mediche e colloqui psicologici fallimentari. Mi sentivo vuoto, preda di una corrente negativa che mi portava alla deriva in un oceano di dissoluzione. Poi un mattino, mentre mi iniettavo del sudore di cavallo drogato in vena, Lui si è seduto accanto a me e mi ha parlato. Non ho capito nulla perchè come al solito aveva la bocca piena di qualsiasi cosa ma il mio cuore si è riempito di linfa vitale ed ho capito di aver incontrato la luce. Poi, petando, lui è sparito nella bruma lasciadomi in piena estasi e senza droga visto che me la rubò. Ho letto tutte le sue massime e ho visto tutti i suoi film......... è davvero un Dione serio!
Pino Sbando: Belle parole......diciamocelo, ma adesso vorrei rivolgermi a Ermanno Bondola, il più erudito nonchè il pù saggio di questi bei quattro moschettieri di Cicciuzzo. Caro Ermanno per favore datti una lavata con quell'idrante prima di rispondermi perchè sei unto come un ingranaggio di una pressa, grazie. Bene dopo l'abluzione sacra veniamo a noi. Tu vieni da una lunga esperienza come medico abortista clandestino nonchè di morfinomane dedito a pratiche sadomasochiste ed oggi ti si ritrova qui in veste di pastore. Come lo spieghi questo mutamento?
Ermanno Bondola: E' vero, ero un essere ripugnante ma anche intelligente e grazie ad un percorso di pensiero logico sono arrivato ad abbracciare la nuova fede. Credo fermamente che la giustizia, insieme al destino è un'espressione della modalità dell'essere e credo anche che l'essere non nasce ne perisce. Ho sviluppato in me argomenti appartenenti al genere che oggi comunemente definiamo antinomie o paradossi e ritenendomi un filosofo provetto amo la conoscenza nella sua totalità e non solo in qualche sua singola parte!
Pino Sbando: Jokken Ermanno sei davvero un pozzo di San Patrizio della moderna filosofia... ma ti prego illuminaci ancora con le tue frasi fatte scritte nel palmo della mano!
Ermanno Bondola: Vedi, caro il mio ignorantone, l'importanza per i cicciuzziani è determinare la giusta proporzione in cui il piacere e l'intelligenza devono mescolarsi insieme per costituire la forma perfetta del bene e Cicciuzzo in ciò eccelle per insegnamento e stile di vita. Il nostro compito è quello di promuovere nei cittadini la virtù che si identifica con la felicità anche attraverso atti liturgici quali l'annodare i reciproci peni e il divorare animali vivi in comunione.
Pino Sbando: Bene, me ne vado prima di mandarvi a cagare tutti. Cari cittadini la nostra città può ben vantarsi di essere crogiuolo di cultura e arte di arrangiarsi. Addio!

giovedì, ottobre 01, 2009

COMBATTIAMO LA CRISI: 150 NUOVI POSTI PER ANNUSATRICE DI ASCELLE.


La crisi è evidentemente superata, prova ne siano i milioni di nuovi posti di lavoro creati per la plebe dal governo centrale.  A supporto di questa verità inconfutabile la neo giunta della Capitale Etrusca d'Oriente ha indetto ieri, dopo un animato Consiglio Comunale caratterizzato da consiglieri dormienti e pubblico bivaccante, un bando pubblico per l'assunzione di ben 150 ANNUSATRICI DI ASCELLE. "La risposta alla crisi passa per atti coraggiosi e controcorrente" ha esordito con il nostro Pino Sbando il portavoce del nuovo Sindaco etrusco "...e a differenza della precedente giunta di pantofolai abbiamo deciso di intervenire massivamente per il ricollocamento della manodopera femminile nel territorio etrusco. Poche ciance e molti fatti perdinci! Coloro le quali vinceranno il concorso, dopo uno stage allo zoo delle scimmie di Tirana, verranno inviate presso le case dei ricchi patrizi etruschi e polesani con il compito di annusare le ascelle dei nobili stessi. Sia chiaro che non è un lavoro per tutte ma alla bisogna solo chi ha la volontà di rimboccarsi le maniche verrà premiata!" Muta la componente di minoranza che per il momento ha deciso di raggrupparsi al Bar dalla Pina per fare mente locale. Segnali positivi giungono dal coordinamento "donne ricche per una destra moderata civile e fraternizzante con tutti ma non co' i nigri" le quali tramite un comunicato hanno fatto pergiungere ai tabloid locali il loro apprezzamento al coraggioso atto da parte della giunta. "Sappiamo delle difficoltà delle donne disoccupate e proletarie ma costoro devono guardare il lato positivo della vicenda: è meglio annusare ascelle che sanno da bancone del pesce che girarsi i pollici nel tinello di casa!" si legge nel comunicato. Veemente la risposta di Danilo Stoppa a nome di una imprecisata sinistra unificata : "Mi sciacquo i coglioni con questi pannicelli caldi, per mio conto e per tutta la sinistra planetaria che rappresento, un vero intervento poteva essere quello di un bando per 150 donne disposte ad ascoltarmi....E' UNA SCOUNCIUEZZA!". Nel frattempo la plebe mormora, si scaccola  e nasconde le briciole sotto i tappeti.

mercoledì, settembre 30, 2009

ARRESTATO PERICOLOZO CANNIBALO!


Si è finalmente spezzata la lunga catena di misteriose sparizioni di giovani donne e anziane signore nel territorio della Capitale etrusca d'oriente. E' stato infatti arrestato ieri PierCornelio Budazzoni di professione coreografo ma con l'hobby del cannibalismo. Ma procediamo con ordine. Tutto inizia 3 anni fa quando in un melanconico pomeriggio d'autunno dal piazzale della coop sparisce Ildebranda Spanetta. La ragazza, una procace ventunenne con la mania per gli uomini villosi e scarsamente puliti, era in attesa di un incontro clandestino con uno dei suoi numerosi amanti mentre il fidanzato Adelmo Binerelli stava all'interno della coop a comperare mezzo supermercato. Quando lo sfortunato fidanzato uscì nel piazzale con 28 carrelli di inutili oggetti, della giovine non era rimasto che la borsetta sul selciato contenente unicamente l'elenco Pagine Gialle degli uomini soli. Passano 8 mesi esatti nella più completa calma mentre i segugi dell'anticrimine etrusca si dedicano alle indagini nelle pause tra una partita a carte e l'altra. Otto mesi in cui la Signora Mariuccia Boson continua la propria inutile quanto inconcludente esistenza ignara di essere già vittima predestinata dell'assassino. La Boson è una zitellaccia arida e inacidita di 56 anni dedita al pettegolezzo e all'ingiuria. Passa interi pomeriggi affacciata al balcone di una delle finestre di casa a controllare i passanti. Nel tempo libero consuma ettolitri di "macchiatone" seduta ai tavoli di svariati bar del centro mentre con sue simili spande vetriolo su tutti i cittadini adriesi.Il suo destino si compie in nella notte del 28 agosto mentre un violento fortunale si abbatte sulla città etrusca. Un unico urlo squarcia la notte e poi nulla. Le indagini non portano a niente e nel frattempo sparisce una corriera carica di invalide polacche in transito per Lourdes. Il panico si diffonde per le vie del centro e le donne etrusche d'oriente si organizzano in gruppi di auto difesa decidendo di non lavarsi ad oltranza. I sospetti nel frattempo si sommano attorno al misterioso PMP accusato di essere un movimento di pericolosi bolscevichi dediti al cannibalismo. "Noi non ci entriamo manco per il cazzo" rivendicano gli appartenenti al gruppo con un volantino lasciato dentro la cuccia del cane Bobi 985. Il governatore Galan si interessa personalmente al caso in un afoso pomeriggio agostano offrendo una cena galleggiante sul Canal Bianco ai sostenitori del centro destra ma ciò nonostante i misteriosi sparimenti continuano. Pattuglie di dischi volanti offerti dalla Lega dei pianeti scorrazzano nei cieli adriesi creando scompiglio agli amanti del volo a vela ma del misterioso rapitore nessuna traccia. La storia, orrenda prigione, intanto segna nei suoi annali altre 4658 sparizioni che mettono in subbuglio la popolazione. "Di questo passo noi etruschi d'oriente ci estingueremo non potendo più accoppiarci con nessuna donna; jokken che situazione tribolata" afferma Ubaldo Carnazza presidente dell'associazione Mashioni Adriesi. Ma la fine per l'assassino si avvicina. Infatti ieri l'ultimo rapimento e poi la cattura. Sono le sette e trenta del mattino quando da vicolo Tretti si ode un urlo, è quello di Sebastiana Nalon settantenne grande obesa che invoca aiuto. Gli abitanti pensano che si tratti del solito problema ovvero che la tapina nel transitare nello stretto budello sia rimasta incastrata tra i muri ma invece vedono con sgomento la meschina agganciata ad una catena e trascinata da un vericello sul cassone di un Ducato fiat guidato da uno sconosciuto. Ildebrando Caggafoni, un sordomuto probo cittadino, riesce a memorizzare la targa del veicolo e da lì all'arresto del delinquente il passo è breve. Raggiunto presso la sua abitazione il Budazzoni viene scoperto mentre banchetta con i poveri resti della vittima. "Sono uno sfigato senza speranze e le donne mi hanno sempre preso a pesci in faccia e io per vendetta ho deciso di mangiarmele tutte crude jokken!" Fortunatamente l'incubo e finito.

domenica, settembre 06, 2009

FAZIONE ATTACCA: Prodotti Avitaminici



La banalità della Tragedia




Prodotti Avitaminici 4.444 Reiko4
Stava seduto sullo sgabello con le braccia posate sul bancone del bar da almeno due ore. Davanti a se l’ennesimo bicchiere di vodka ai frutti, albicocca per quel giro. Erano 10 mesi che mancava da li, da quando sua moglie lo aveva cacciato di casa come un cane, senza possibilità di fargli spiegare nulla, via così come se fosse stato fatto di polvere, cancellato. Cancellati 8 anni di matrimonio, cancellato tutto. Quella storiella gli era costata cara, il lavoro, la quiete familiare, il rispetto dei vicini e il rispetto per se stesso. Tutto per una serata storta, per una puttanata di nessun conto. Ma per sua moglie, per la sede centrale della sua banca quella foto che era circolata nella piccola cittadina era un torto troppo grosso e lo avevano fatto a pezzi. Se la ricordava come la prima foto della sua vita, come la foto della prima elementare dove si guardano i volti dei compagni persi per la strada ma quella era più vivida. La si vedeva bene la sua faccia piantata dentro le natiche della ballerina del ben noto posticino dove signorine della forme procaci agitavano il deretano e rettificavano le pistole dei probi cittadini del luogo. Quella serata tra compagnoni gli era davvero costata cara, nel giro di una settimana il giovane rampante benpensante vice direttore della banca rurale di una santa a caso presa dal mazzo era diventato un novello Eliogabalo, un libertino senza ritegno dedito alla crapula e al gozzoviglio. Niente da dire, lo avevano messo alla gogna come un lazzarone d’altri tempi, preso tra due fuochi. Si ricordava del clima glaciale quando quella sera era rientrato a casa e aveva trovato Gloria, la sua adorata mogliettina, con gli occhi sbarrati seduta con il culo in bilico su una seggiola della cucina.
“sei questo qui tu?” gli aveva detto con un tono di voce tagliente come il disco di una sega circolare. A lui d’un tratto gli erano apparsi due pianoforti a coda sulle spalle, si era piegato sulla foto a riconoscere la sua bella faccia che sprofondava nelle madide dune del posteriore di un’ucraina procace sudata come una cavalla dopo una corsa di trotto. Il mondo gli era passato davanti tutto di un colpo, lasciandolo indietro immerso in uno spazio freddo e gelido. Stalattiti millenarie una dietro l’altra gli si erano conficcate nel cervello.
Non riusciva a dire nulla balbettava come Pappagone e non riusciva a cacciare una frase di giustificazione. Lo sguardo di Gloria, la sua Gloria lo perforava e bruciava secondo dopo secondo la somma dei loro giorni felici vissuti insieme. Si bruciava il loro idilliaco amore iniziato alle scuole superiori, i giorni dell’università, la festa della sua laurea in economia e commercio, la festa in campagna della laurea di Gloria in Lettere. Quella festa deliziosa sotto la pioggia con la proiezione delle loro foto fin da ragazzi in braghette corte, la torta con le candeline. Andava a fuoco il suo incarico alla banca, incarico che suo suocero gli aveva trovato appena un mese dopo la sua laurea, la loro casa nel quartiere residenziale appena costruito, tutto a puttane, alè in compagnia dell’ucraina che per un foglio da cento gli aveva fatto vedere la topa da ben vicino e gli aveva rianimato il pistolozzo con un paio di carezze ben assestate. Poi il giorno dopo le cose erano precipitate al lavoro. Nella sua scrivania, appena arrivato , trovò la fotocopia a colori dell’attimo fuggente incriminato e una bella scritta a pennarello rosso: “ Mangiami stà scoreggia direttore!”.
Davvero un incubo in tre dimensioni vero e pesante come un macigno scagliato da un ciclope incazzato sulla sua testa. Non passarono neppure due ore, che lui trascorse rinchiuso come un frate minore dentro il suo ufficio, che arrivò la telefonata della sede centrale che lo invitava, con solerzia, a presentarsi dal responsabile delle filiali per la sua regione. Furono quaranta chilometri di auto misti tra il mondo dei ghiacci e il tormento delle fiamme dell’inferno. L’uomo in grisaglia lo aspettava nel suo ufficio. Il delegato del padreterno lo accolse con uno sguardo di ghiaccio. Alle sue spalle una splendida scultura lignea di padre Pio e un’immagine della santa protettrice della banca. Non furono molte le parole che riuscì a decifrare ma spiccavano per la loro reiterazione termini quali vergogna, non possiamo ammettere…lei capisce…il prestigio…i nostri clienti. La concretizzazione di quel dialogo era l’esplicita richiesta di sue immediate dimissioni almeno per evitare l’umiliazione ulteriore, non per lui ma per la povera consorte, del licenziamento. Peggio che rubare, peggio che uccidere. Non si poteva concepire che uno zelante scherano di quella accolita di ipocriti stesse accucciato al culo di una EXTRACOMUNITARIA, forse nella complice oscurità delle mura domestiche, ma mai e poi mai sacrificare il prestigio dell’azienda all’altare della fregna. Questo era quanto. Ma non era una situazione nuova anche per lui, in effetti si ricordava con quanta dovizia aveva fatto licenziare uno dei suoi cassieri perché si mormoreggiava in giro che fosse l’amante di una negra, una negra di quelle nere come l’ebano che lavorava per un’impresa di pulizie nella sua filiale. Tra i due era nato l’amore e il cassiere non si vergognava di farsi vedere in giro con lei. Una lettera, una telefonata e il giovanotto si era ritrovato per la strada. Tutto chiaro no? Questo e’ il gioco. Ma in quel gioco adesso era lui la carta da scartare e gli faceva male. Dimissioni, una macchina da 60 milioni venduta per un’utilitaria, cinque scatoloni nel baule e la sua vita era sparita lungo la strada privata del suo quartiere modello. Un amico, uno di quelli che quella sera era con lui gli diede una dritta e con un po di culo lo fece assumere come vice direttore in una sala del bingo. Niente male, niente male per un disgraziato, per un nulla ma per lui era umiliante girare come un pinguino per la sala a controllare le cartelle, ad indirizzare i camerieri e i venditori ai tavoli. Santo dio che miseria. Faceva i conti con tutta quella merda seduto in quel baretto della statale appena fuori dal mondo idilliaco della sua cittadina linda linda. In effetti a ben pensarci quella che lui amava chiamare “la mia città” era poco più che un buco verminoso nel bel mezzo di una distesa di ettari di granturco e barbabietole che nel periodo invernale sprofondava in una coltre di nebbia densa come latte. Per non parlare dell’estate quando una cappa d’umidità faceva infradiciare gli abiti come piovesse. Volteggiavano nel cielo notturno dell’estate sciami di zanzare assetate di sangue pronte a lanciarsi come kamikaze impazzite su ogni pezzo di carne che deambulasse. C’era un cinema, cinque chiese, un ospedale mezzo finito e mezzo fatiscente, un bel palazzo del comune e delle casacce costruite a cazzo sparpagliate senza criterio da una mano di un gigante cieco. Ma c’era pure la sua banca, l’associazione degli agricoltori dove manco per il cazzo ci entrava il bracciante ma tutti spavaldoni con pezzi di terra dove ci dovevi sudare la camicia per correrci fino alla fine, anzi era meglio che ti comprassi un motorino per attraversarle, sperando ovviamente che non ti finisse la miscela. Oltre a questi bontemponi il tessuto sociale era animato da quattro bottegari che stavano calando le braghe davanti alla nuova invenzione di un centro commerciale costruito con i soldacci degli stessi landlords tanto amanti della vita cheta e rilassata che solo l’ambiente rurale sapeva donare. Loro e i loro trattoroni, le loro macchinone sporche di fango e le camice immancabilmente bianche il di della domenica mattina prima di andare alla messa. Era stato uno di loro e sotto sotto lo era ancora. Cercò di scrollarsi di dosso questi pensieri e fece mente locale sul perché fosse ritornato lì. In effetti aveva ancora le chiavi di casa, aveva ancora diritto per legge di avvicinarsi a quella che era stata la loro comune dimora. Magari Gloria aveva sentito la sua mancanza, magari la ferita si era cicatrizzata, magari… Gli mancavano tanto le sue comodità, il morbido della sua poltrona, le braciolate la domenica con gli amici di famiglia, la tele a 40 pollici, il dvd, la vasca con l’idromassaggio, Dio gli mancava Gloria. Con quelle sue tettine così ben tornite, la sua pelle profumata e quella sua topina dove ogni venerdi’, sabato e domenica che il signore comandava in terra lui mandava il suo savoiardo in esplorazione. Poi il sabato ci scappava pure il pompino, superbo atto di perdizione sensuale…ahhh Gloria Gloria delle mie brame. Ormai aveva deciso doveva riprovarci. Prese coraggio e pagata la bolletta alcolica al tizio scalcinato dietro il banco uscì verso la sua fiammeggiante 600 giallo taxi presa usata, quasi nuova, a un tot al mese che gli decurtava la paga da pinguino. Grazie al cielo almeno c’era l’autoradio e con se aveva portato dei nastri, roba vecchia ma evocativa. Una bella raccolta di brani anni settanta che si era fatto registrare da Gino un vendi-cartelle del bingo che arrotondava lo stipendio facendo il dj in una discoteca di periferia dove vecchie caldaie divorziate o zitelle con il culo debordante si facevano intortare da pii pellegrini con il moccolo infiammato ai fine settimana. Brano di prestigio “gloria” di Umberto Tozzi, versione originale e rimixata. Gli venivano in mente le giostre dove i ragazzi dei poveracci andavano con le malboro da dieci incastrate nelle maniche arrotolate delle t-shirt a tirate cazzotti al tirapugni strombettante vicino all’autopista. Lui ci andava con i suoi amici da ragazzo, ma a differenza di quei figli di braccianti, di mezzi morti senza nessuna prospettiva se non l’andare alla fonderia o all’impalcatura, lui ci passeggiava e basta, ridacchiava con i suoi allegri compagni e poi si faceva vedere dalle stronzette che assiepavano la piattaforma dei dischi volanti. Tra quelle c’era sempre una carina a cui far segno, poi per una settimana potrebbe essere stata nominata la sua fidanzata e girare sul suo caballero 50 sei marce a scorazzare per il viale centrale della “città”. Bei tempi quelli. Adesso invece un brutto temporale che sembrava non passare mai faceva precipitare sulla sua testa una pioggia solforica fatta di distillato di pura sfiga. Barba incolta da tre giorni, alito vinoso, braghe di tela da quattro soldi, automobilina da guappo di quartiere periferico e una mazzetta di fogli da dieci euro in tasca. Declino e caduta di un occidentale insomma. A un passo dalla soglia di povertà gli toccava scoprire controvoglia che significasse tenere a bada i suoi desideri anche quelli minimi tipo di prendersi una vacanzina striminzita di una settimana in un qualsiasi buco di culo estivo. Era davvero sfessato, con la rompicoglionite acuta che gli mordeva il bassoventre come una tagliola per orsi. Tenendo la musica a palla percorse i tre o quattro kilometri che lo separavano dalla “ville lumiere” culla della propria infanzia e sede del suo ex nido d’amore. Al cartello che recitava l’inizio del territorio urbano abbassò il volume per non farsi notare. Per essere un fine settimana si sarebbe potuto pensare che una pestilenza spaziale si fosse abbattuta sulla cittadina, poche macchine in giro, solo la luce dei bar vomitata sulla strada segnalava la presenza di umanità varia all’interno di quegli antri. Passò per la piazza principale davanti al bar “Centrale” (un colpo di genio aveva illuminato il primo proprietario per quel nome che sprizzava originalità) dove per tanti anni si era ritrovato con i pezzi buoni della città. Cercò di vedere attraverso le vetrate se riconosceva qualche volto ma i vetri erano stati sostituiti da un nuovo modello brunito e riflettente, di quei vetri che permettono a quelli che sono dentro di guardar fuori senza esser visti. Tutto a soddisfare il voyeurismo dilagante nell’allegra società contemporanea. Anche la vecchia insegna esterna era cambiata, non più rossa con i neon all’interno ma una più consona alle nuove direttive per il mantenimento dell’aspetto estetico dei centri urbani. Un bel scrittone giallo oro con due stelle roteanti ai lati ma però opportunamente illuminato da luce indiretta proveniente da due faretti modello antiaereo. Accelerò un po troppo bruscamente facendo pattinare le ruote mentre sterzava, sicuramente da oltre quelle vetrate qualcuno aveva notato il seicentino giallo nella sua roboante ripresa e lui si immaginava i commenti; commenti che lui per primo avrebbe fatto su qualsiasi tamarro da casermone periferico in vena di fesserie serali il di della festa. Si accese una paglia, una multifilter di quelle lunghe col pacchetto color marron, brutte, cattive e pestifere. La tipica sigaretta del pezzentone che però tira a darsi un tono, che facciano cagare non conta una mazza ma col pacchettone lungo e il filtro bianco ai carboni attivi…bhe insomma, almeno sei uno stronzo che galleggia in una vasca di piscia! Le bevande consumate al baretto gli avevano gonfiato la vescica e dato che l’alcool, come è risaputo, fa gas, anche il budello si era gonfiato a dovere, a farla breve doveva espellere il surplus d’aria immagazzinata ma soffrendo di colite temeva che al primo sbuffo deretanesco gli sfuggisse oltre all’agoniato peto anche del liquido fecale risultanza dei beveraggi di scarsa qualità e del misero pasteggio fatto di tramezzini gusto uovo, tonno e cipolline. Stringendo denti e ano, alzando un po la natica destra dal sedile,diede fiato alla tromba. Eccola là che partiva nell’aria la nube tossica, piccola Bhopal in formato monodose, ma quando tutto sembrava filare liscio gli scappò quel tanto di sciolta da umidificargli chiappe e mutanda. Non un disastro ma quel tanto di spurgo velenoso e acido che trapassa le mutande e fa il chiazzone verso il basso delle braghe. Pensò che tutto sommato nessuno lo avrebbe visto e quindi il danno era limitato al fastidio tra le chiappe e al discreto puzzo di merda che si sarebbe portato dietro fino al suo rientro a casa. Li di sicuro c’erano ancora i suoi vestiti, la sua biancheria e sua moglie non avrebbe potuto di certo negargli almeno un bidet, cribbio era anche suo quel bagno, anzi quei tre bagni! Prese il vialone che portava verso il quartiere residenziale dove al n° 18, immersa dietro una siepe di pseudolauro, adagiata su un simpatico giardino abbellito da alberi ornamentali stava la sua magione. Diede un po di gas portando il seicentino a quota 80 kilometri orari, velocità non consentita nei centri urbani, ignaro del fatto che da alcuni mesi il Comune in affanno con le entrate, nel zelante tentativo di far rispettare le norme del nuovo codice della strada, aveva istituito il servizio notturno della polizia urbana. Laser alla mano il vigile scelto Marisa Alibrandi coadiuvata dal vigile Marcello Filippini puntò il rilevatore verso quell’unico mezzo in arrivo notando sul display la velocità di Kms 83,5, velocità non consentita e passibile di multa di euro 250. Con un gesto del capo mise in moto il suo fedele partner il quale con posa marziale fece un passo in avanti sulla carreggiata esponendo la paletta, ambasciatrice di disgrazia per ogni guidatore. Gli sembrava impossibile, chi poteva sbucare da dietro quel tiglio con una paletta in mano, non era certo febbraio con il carnevale che impazzava, non certo la polstrada, li non c’era spazio per la macchina…….fu preso da sgomento mentre staccando il piede dall’acceleratore individuò i due scooter della municipale milizia. Marisa Alibrandi, vigile scelto classe 1963, si accostò al finestrino e lì incrociò il suo sguardo con il suo, la riconobbe subito, come un incubo in tre dimensioni rivide la sua vecchia compagna di classe, la Marisa detta Pastasciutta per il suo soprappeso, Marisa dal pianto facile che lui si era divertito mille volte a prendere in giro. Adesso Marisa stava lì, nella sua bella divisina bleau con i galloni gialli sulle spalline, sempre lievemente in soprappeso e lui era alla sua più completa mercè. Anche lei lo riconobbe, il drittone dello scientifico, uno dei fighetta che l’avevano umiliata per 5 lunghi anni di scuola. Aprì la portiera della macchina e scese e con lui, attaccato al culo con lo spago invisibile, il vento caldo generato dal buio anfratto sito tra i suoi glutei. “Ciao” provò a dire e per tutta risposta si sentì rispondere con un freddo “buonasera, patente e libretto per favore”. Marisa storse il naso, le sembrava che quella macchina fosse appena uscita da un’azienda agricola con il bagagliaio pieno di stallatico suino buono per la concimazione degli orti. “qui c’e’ il limite dei 50km orari, le devo elevare una sanzione, sono 250 euro, concilia?”
“Ma facevo i 55, via non mi vorrai fare la multa Marisa!” rispose con un fiato degno di un ubriacone capace di bersi pure il dopobarba per mantenersi la sbornia.
“ha bevuto per caso?” disse la Marisa
“chi io, io no, solo un birrino dopo cena!”
“Ummm, si direbbe che al bar che lei frequenta i birrini li servano in taniche da 25 litri, le devo fare la prova del palloncino!”
La nemesi era arrivata silente sotto forma di vigile, il boomerang era ritornato indietro e lui era lì nel bel mezzo della strada pronto a beccarselo nei denti.
Gli diedero il tubino con il palloncino e lui soffiò maledicendo il fatto di non essersi comperato un pacchetto di cicche, quelle forti al mentolo che se ne mangi cinque in un colpo per almeno venti minuti ti escono i ghiaccioli dalla bocca.
“tasso alcolico elevatissimo, mi sa che le devo ritirare la patente, conosce qualcuno che possa venire a prendere la macchina oppure avverto il carro attrezzi che la porti in deposito?”
“che cosa …la patente…il carro attrezzi…Marisa dai per favore ti prego, ho dei problemi, giuro che lascio ferma la macchina e la vengo a riprendere domani, questa sera torno da mia moglie, fammi un favore!”
Davvero triste, piagnucolava con gli occhi liquidi quasi a mani giunte ma di fronte aveva un pezzo di granito incastonato in un blocco di ghiaccio, niente da fare.
“Bene, allora chiamo il carro attrezzi, le sopendo la patente e le elevo la multa per eccesso di velocità.”
Rimase in silenzio mentre osservava la Marisona che con una Bic blu preparava il verbale con bella calligrafia. Prese il foglio del sequestro, lo piegò in quattro e se lo mise in tasca incamminandosi in quella notte sempre più buia.
Da dietro si senti dire “Buona notte Edoardo e buon riposo….se qualcuno ti darà un letto da dormirci sopra!”
Solo, umiliato, deriso e scacciato da tutti, che altro ancora!
Si mise in cammino a testa bassa come un bue al quale avessero messo un giogo troppo pesante con attaccato un aratro con cui solcare l’asfalto. Pensieri cupi di vendetta iniziarono ad accalcarsi nella sua testa, foschi desideri di rivincita, lui sarebbe tornato, si sarebbe risvegliato da quell’incubo e avrebbe fatto strage come l’angelo sterminatore delle piaghe bibliche. Doveva solo avere un po di pazienza, ormai il fondo lo aveva toccato per davvero e non aveva altra scelta che risalire e il primo gradino da affrontare era Gloria.
Si preparò mentalmente un discorso da farle con il cuore in mano, un discorso da uomo che sa di aver sbagliato ma che desidera redimersi, che vuole ritornare come un figliol prodigo al gregge che sulla retta via percorre gli anni della vita terrena nella consapevolezza che maggiore è il peccato tanto più profondo sarà il perdono. L’unica nota dolente era il bruciore che gli stava divorando l’interno delle chiappe, per il resto aveva ritrovato spirito. Si accese un’altra sigaretta guardando sconsolato il pacchetto stropicciato dove erano rimasti unicamente tre cilindretti di carta bianca con il loro contenuto della preziosa miscela di tabacchi virginia. Dopo dieci minuti era arrivato, la vide la sua bella casetta, oltre la siepe, oltre il giardino in rilievo su una piccola dunetta che gli era costato un bel andar e venir di camion di terra di riporto per conferirle quel suo aspetto tipico della casa di uno che sta un mezzo metro più in alto del volgo. Suonò al citofono con il cuore che gli batteva il sangue in gola aspettandosi che dallo scatolotto metallico lo raggiungesse la voce della sua amata mogliettina, ma niente. Tutto era spento, nessuna luce scivolava fuori dalla ampia vetrata del salotto, niente a testimoniare che lei fosse in casa. Pensò allora che fosse uscita con le sue amiche, in effetti il venerdì andava in palestra e magari poi era rimasta fuori a mangiare qualcosa con loro. Povera Gloria, sola, senza il braccio forte e confortevole di un uomo, sola nelle notti d’inverno quando voltandosi nel letto non trovava il suo caldo abbraccio, il rassicurante tono della sua voce. Gli si strinse il cuore. Rovistò nelle tasche fino a trovare il mazzo delle chiavi. Aprì il cancelletto e si immise nel vialetto che conduceva all’ingresso della casa. Guardò il giardino, perfetto, tagliato di fresco con l’acero siliquanda che faceva bello sfoggio di una chioma scura di foglioline color vinaccia, guardò il piccolo roseto a cespuglio, quelle rose candide che a Gloria piacevano tanto; trovare quella particolare varietà gli era costato un occhio sia di soldi che di tempo ma alla fine lo aveva rintracciato presso un noto vivaista di Pescia. Poi le due aiuole, meravigliose con l’impianto a goccia, con la pacciamatura giusta, il temporizzatore stava poco più in là pronto a dar vita a piccoli rigagnoli d’acqua che le mantenevano sempre fresche e dai colori vivaci. Tutto molto bello, tutto molto curato come le mani di una bella donna con gusti sofisticati. Aprì la porta di casa ed entrò. Accese le luci e rivide tutto quello che gli era stato negato per tutti quei mesi di purgatorio, la specchiera fine ottocento meravigliosamente contenuta nella cornice intarsiata a mano, comperata da un noto antiquario di Padova amico fraterno del babbo di Gloria, il mobiletto in stile povero, in puro massello di noce impreziosito da ninnoli di cristallo di Murano tanto cari alla sua dolce. Il pendolo a parete, bello massiccio con tutte le sue catene ottonate che sostenevano il peso degli ingranaggi di carico, perfetto nella sua riproduzione del quadrante Old British. Già dall’entrata si spandeva per tutti i locali quel fragrante profumo di essenza di bergamotto che purificava nella sua contenuta dolcezza. Passò poi in salotto per rimirare di nuovo il suo luogo preferito per l’agio. Il comodo divano in pelle bianca, il tappeto persiano Qsciam in seta morbida quanto un fazzoletto e le eleganti piantane in metallo anodizzato con coperture in vetro opacizzato dipinte a mano. Le porcellane in stile moderno sembravano sempre in precario equilibrio, opere uniche fatte da artisti contemporanei con impianti tradizionali, sapiente miscela di caolino quarzo e feldspato.
Ai piedi del tavolino centrale in acciaio tubolare con cristallo fumeè vide un paio di mocassini Tod’s color pastello, erano quelli che contenevano i piedini da cinesina della sua bella. Ad un lato dell’ambiente faceva bella mostra di se un Video al plasma della Waitec 40”, eccezionale per la sua definizione di immagine con un angolo visivo da 160°, assieme all’impianto dvd dolby sourraund era il suo orgoglio hi-teack. Si ricordò di quella volta che lei e lui avevano visto il film Titanic stretti l’una all’altro e avevano pianto al finale, poi nell’estasi dell’amore si erano uniti in una copula distesi sul morbido tappeto. Gli bruciava il cuore come se sopra gli avessero versato del vetriolo. Spense le luci e si sedette sul comodo divano assaporandone l’agio, chiuse un po gli occhi sperando di abbandonarsi. Odorava il profumo dell’ambiente riempiendosi i polmoni, vedeva la sua bella che si muoveva come su di un velo di ghiaccio secco sublimato, leggera come la visione di una dea. La immaginava sola ed affranta, chiusa nel suo dolore fatto di rimpianto ed orgoglio. Era quell’orgoglio che non gli permetteva di fare il primo passo verso di lui, verso la riconciliazione. Dolce Penelope ferita nei sentimenti, ma lui, novello eroe epico di ellenica memoria, era ritornato, in ginocchio ai suoi piedi per ridar vita a quel sopito fuoco che ancora ardeva nei loro cuori. Riaprì gli occhi, impelleva una doccia, doveva essere presentabile per il grande abbraccio del ritorno. Scese le scale verso il piano interrato della casa. Percorse un breve corridoio fino al bagno di servizio, quello che lui preferiva al ritorno dalle partite a tennis al club sportivo. Lo ritrovò nello stesso stato in cui lo aveva lasciato. Sulla mensola sotto la specchiera ancora la sua schiuma da barba al mentolo, il suo rasoio in bagno d’oro riposto nell’elegante astuccio drappato in damascato violaceo, i suoi profumi preferiti, fragranze che si era quasi dimenticato. Appena fuori dal bagno c’era una cassettiera con i suoi indumenti intimi e sportivi. Prese un paio di boxer Benetton verdi militare, t-shirt adidas, un paio di calzoni di una tuta della Lotto e una polo azzurrina della lacoste. Si rase a dovere, si deterse il volto con una leggera mousse vegetale e poi si improfumò come un adolescente alla sua prima uscita galante. Non si dimenticò di farsi una serie di profondi gargarismi con un collutorio agli estratti vegetali frutto della paziente ricerca di erboristi giapponesi, una boccetta costava quanto una bottiglia di Chateaux Margaux del ’58 ma rettificava il fiato come null’altro al mondo.
Era come se fosse rinato, partorito bello fresco, cancellato tutto, riportato alla vita. Si guardò allo specchio e si trovò bello, certo alle tempie i capelli gli si erano ingrigiti ma gli davano quell’aria decisa e saggia che un uomo nel mezzo della propria vita porta con orgoglio. Riprendeva stima di se, era a metà dell’opera insomma. Mentalmente iniziò a prepararsi il discorso………ineccepibile. Stava per accendersi una sigaretta ma pensò che il fumo avrebbe rovinato l’opera preziosa del collutorio. Si sedette lungo disteso sulla panca del salone che lo aveva visto mille volte anfitrione di serate tra amici. Fissava il soffitto con un sorriso beota stampato sulle labbra. Alzando l’avambraccio sinistro diede un’occhiata al suo Vetta del ’62 a movimento meccanico : 23.35, sentiva che l’ora si avvicinava e chiuse gli occhi preso da una sorta di beatitudine purpurea. Fù il suono metallico di un cancello e un vociare confuso che lo svegliarono dal suo limbo. Sempre il suo Vetta del ’62 a movimento meccanico l’aggiornò sull’orario: 02.28 ! Impossibilitato dal cacciare un bestemmione di stupore dalla sua educazione cattolica mormorò qualcosa di molto simile ad un blando “diavolo cane” o “diavolo pesce”, forse azzardò un duro “Porco Giuda!”. Preparando la sorpresa si tirò su di scatto e si nascose nel ripostiglio delle scope e delle scarpe attendendo che Gloria congedasse le sue amicizie per poi scoprirsi a lei come un angelo dell’annunciazione. Tirò la porta a soffietto e con una trepidazione infantile attese che lei rimanesse sola. Sfortunatamente quel momento non doveva arrivare. Sentì , da quel suo nascondiglio miserabile, la porta richiudersi ma non svanire il vociare a due. Una delle voci era della sua dolce metà ma l’altra? Sicuramente maschile, sicuramente riconoscibile, ma non voleva svelarsi ancora, gli sfuggiva, come rincorrere un’ombra nella nebbia. Erano lì appena oltre la sua postazione, nel salone dove solitamente ricevevano gli ospiti. La curiosità gli rodeva il cuore, perché alle due e mezzo della notte quella voce maschile aleggiava come un fantasma all’interno del suo sacrario, dentro il tempio dedicato a lui e alla sue vestale? Roso dalla curiosità, un misto di morbosità e acredine acida, tirò lievemente il soffietto della porta verso la sua sinistra in modo da ottenere una visuale striminzita sul salone. Le luci, regolabili, erano al minimo, un bagliore lattiginoso, vagamente giallastro, immergeva l’ambiente circostante in una sorta di atmosfera semiliquida, venusiana, quasi irreale. Irreale quanto quello che vide. Gloria era dritta davanti a sé, a meno di tre metri, bella ed altera, con i capelli camomilla che scendevano sulle spalle a ricoprire la camicetta rossa che le addolciva il busto fino a quel punto di stacco cromatico rappresentato da due mani maschili che le avviluppavano i fianchi. Ci sarebbero stati tutti i motivi per balzare fuori in un impeto di maschia gelosia ma una curiosità strisciante e meschina lo imprigionavano con il naso parato contro il soffietto e il manico dello scopettone che gli premeva sul culo messaggero foriero di disgrazie.
I due corpi, quello erano diventati, si spostarono lievemente sulla sua prospettiva permettendogli di inquadrarne chiaramente l’osmotica sensuale vicinanza dei loro volti. Gloria e Tambroni. Tambroni, l’amico che quella maledetta sera era con lui nel locale della lap dance, Tambroni, il brutto della compagnia, il miserabile figuro suo sottoposto, la chiavica umana da due soldi che gli aveva dato una dritta per il posto al bingo. Li vide scivolare verso terra, sul tappeto finemente lavorato, vide i loro corpi stringersi come due polipi in un crescendo sensuale. Sussurri e rantoli accompagnarono la discesa verso quel talamo di amore indegno e fedifrago. Perché sole tu non ti oscuri? Perché luna, pallida compagna di notti insonni, non ti spegni su tale delitto? Comune agli uomini è il bruciare, uno stato fisico che prevede l’annichilimento delle proprie carni interne, l’involucro rimane tale ma dentro i tessuti sublimano servi della fisica, addomesticati dalla termodinamica. Le loro bocche unite, le gambe di lei serrate sui fianchi di lui, quel sensuale groviglio corporeo che lasciava trasparire una passione oltre il sensuale, la posa volutamente inpudica, lasciva. Sotto la spinta delle acque gli argini iniziarono a sbriciolarsi in zolle sempre più grandi su ognuna delle quali c’era un pezzetto di lui. Seguì tutto l’amplesso con stupefatto interesse. Ma perché Gloria gemeva di piacere sotto la spinta del razzo mandato all’esplorazione del suo nascosto pianeta? Perché perfino la sua pelle sembrava brillare. Lampi di denso avorio polverizzato nell’aria, una nuova pomata all’estratto di carica ionica umana, clinicamente testata? No, evidentemente, non erano quelli i motivi.
Fù così che per uno stravagante fenomeno chimico-fisico si trasformò in una grande merda. La scena del crimine era perfetta: avidi d’amore, nel turbine della passione gli amanti venivan spiati dallo sgabuzzo delle scope dal “grande mucchia”, il mostruoso essere merdoso venuto dallo spazio! Inesorabile arrivò l’orgasmo, un vento caldo magmatico che gli abbrustolì il cervello in maniera definitiva. L’ipnotica apnea andò ben oltre il rivestirsi, l’accomiatarsi della coppia e lo spegnimento delle luci. Aprì il soffietto dello sgabuzzo e nella sua nuova forma semisolida arrancò fino ad una poltrona dove sprofondò inghiottito dai suoi foschi pensieri. Era davvero tutto finito, dissolto, perso. Riflettè sulla banalità della sua tragedia e gli spuntò un sorriso beffardo sulle labbra. Si avvicinò al mobiletto dei liquori e nel buio a tentoni raccolse una bottiglia. In ciabatte prese la via della porta, percorse il vialetto e dopo aver scavalcato il cancello si incamminò nel bordo finale della notte, lui e la sua bottiglia. Ci diede un’occhiata prima di dare una forte sorsata del liquore. Sfiga pure lì: era una bottiglia di Batida de Coco cimelio decennale che nel fondo del mobiletto dei liquori attendeva un grande evento come quello per essere giubilata. Cominciò a trangugiarne a sorsate sempre più grandi e nel giro di mezzora la bottiglia era vuota e il cervello spappolato. Con una sincera voglia di vomitare l’anima arrivò sul ponte che attraversava il canale in quella zona della città. Barcollando nel mezzo della strada decise per una pisciata. Ad onor del vero l’equilibrio che sorregge corpo e anima se ne era andato valige alla mano già da un pezzo e per pisciare si calò i pantaloni della tuta fino alle caviglie e poi preso da un istinto animale si denudò il petto. Lo spettacolo che si ritrovarono di fronte l’agente Puddu e l’agente scelto Lo Cascio li lasciò a bocca aperta. Che ci faceva uno tutto nudo con le ciabatte e un paio di braghe calate nel bel mezzo del ponte, completamente ubriaco o drogato, con le braccia stese al cielo e il pendaglione pisciante in azione? Lo caricarono senza tanta fatica sulla macchina e lo portarono di filato all’ospedale. Senza passare per il pronto soccorso si ritrovò a ricovero coatto nel reparto psichiatrico per evidente stato confusionale. Sulla denuncia per atti osceni c’era tutto il tempo. Si beccò una intramuscolare di valium da 20 cc, un clistere al caffè, un lavandone gastrico degno di essere fatto più a un capidoglio che a un cristiano e poi lo infilarono in una stanza in compagnia di un maniaco paranoico che la sera prima in un attacco delirante aveva dato fuoco al cane del vicino in quanto scambiatolo per il diavolo. Molte ore dopo riuscì a spalancare gli occhi al suo nuovo, inedito, meraviglioso mondo. Ebbe la netta sensazione che due bontemponi la sera prima avessero giocato una partita a freccette usando la sua testa come bersaglio. Poi passò al gusto e scoprì con suo grande stupore che la sua lingua era diventata di balsa e che dal pessimo gusto doveva essere stata infilata dentro il culo di un orso per almeno due ore. Ma furono il tatto e la vista a sconvolgerlo. Sentiva una mano nella sua, calda e sudaticcia e poi seguendo con lo sguardo l’avambraccio,poi il braccio, poi la spalla cadde nel liquido sguardo dell’occhio vigile del paranoico che lo fissava dubbioso. Che succedeva? Dove era? Chi era costui? “Ciao, io sono Ezio, tu sei il diavolo per caso?” Furono quelle le prime parole che il suo udito riuscì a percepire prima dell’urlo bestiale che gli uscì dalla gola inondando tutto il reparto e scatenando un concerto di urlacci da jungla ad opera degli altri allegri compagni di corsia. Il primo infermiere gli allungò un ceffone da incubo sulla bocca e il secondo gli fece l’ennesima pera di valium e poi tutto si fece di nuovo nero. Nel frattempo la notizia si era sparsa per la città. Nel naturale percorso di trasmissione orale del fatto la cosa si ingigantì a dismisura arrivando ad un parossismo inenarrabile. Alla povera Gloria, moglie inconsolata e inconsolabile, un’amica nel tardo pomeriggio disse che il suo ex marito era stato trovato nudo sul ponte mentre tentava di buttarsi di sotto. Sembrava pure che durante la notte avesse rubato una macchina e una ragazzina giurava che mentre rincasava un uomo nudo le era apparso davanti mentre si masturbava. Sembrava pure che in ospedale avessero accertato che era drogato pieno di eroina, cocaina, crack, benzedrina, metedrina, morfina, funghi allucinogeni, rospi psicadelici, bacche varie, etere e chissà quali altre sostanze. Sicuro era che fosse affetto da aids conclamato nonché da epatite c e tosse canina. Divenne il caso dell’anno, lo zimbello più spassoso dopo il noto caso verificatosi 25 anni prima del barbiere Brusoni che rincasando una sera aveva trovato la propria moglie a letto con un cavallo. Il giorno della sua dimissione dal reparto i carabinieri ebbero il buon gusto di caricarlo sulla loro macchina fino alla caserma dove gli venne notificata una denuncia per atti osceni in luogo pubblico e il foglio di via in quanto soggetto non gradito. Lo portarono alla stazione dei treni e lo caricarono sul primo locale per il capoluogo. Guardò per l’ultima volta la sua città passargli davanti mentre una leggera pioggia iniziava ad avvolgerla. Deglutì e respinse una lacrima sulle palpebre, sparendo all’orizzonte.
Lieto fine: A due anni da questo spiacevole fatto il nostro amico si è rifatto una vita.

lunedì, agosto 31, 2009

QUEZITO EXZISTENIALE N° 77.893


Stamane, mentre eseguivo una liposuzione al cane del vicino, sono stato raggiunto da un commovente messaggio cartaceo inviatomi da tale Ildebrando da Cantarana. Colpito dalla profondità dell'ominide in questione e dal suo dilemma esistenziale non ho potuto trattenermi da uno slancio umanitario. Posto con letizia consueta. "Carissimo Erre, stimato cavallerizzo, cultore dell'arte pre raffaelita, incisore sopraffino, conducador di masse nonchè abile piromane, chi ti scrive con il cuore spezzato è il sottoscrittoIldebrando, tuo umile nonché affezionato seguace. Tosto ti pongo il mio amaro quezito sperando in un tuo consiglio. La mia storia inizia 42 anni fa quando tra lo stupore dei paesani venni alla luce dal grembo di mia madre che per tutti era un uomo ma non per me. All'età di 21 anni mia madre mi portò a conoscenza di un doloroso segreto: ERO UN NANO! Ti posso assicurare che la notizia mi colse come fulmine a ciel sereno inducendo in me un profondo stato depressivo che tentai di curare dedicandomi anima e corpo allo studio della veterinaria applicata. Con spirito indomito e furente studio riuscii all'età di 37 anni a laurearmi con una tesi sulla colite spastica dei pachidermi la quale mi fruttò una menzione nella rubrica "forse non tutti sanno che..." della prestigiosa rivista scientifica LA SETTIMANA ENIGMISTICA. Nonostante le luci della ribalta, l'acclamazione nel mondo accademico in me rimaneva un doloroso cruccio: mi tiravo 70.000 seghe all'anno senza speranza di approcciare una donna. La dannazione si era impossessata di me. Ricordo ancora le centinaia di €uri dilapidati in annunci su riviste specializzate in scambio di coppia per trovarmi una adeguata collocazione sessuale. Ma alla fine tutto questo è sparito quando nella mia vita è apparsa WANDA, la donna che io amo. Purtroppo i genitori di lei, due nobili BANTU', non vedono di buon occhio la nostra relazione e siamo costretti a trovarci sotto mentite spoglie unicamente sui set di alcuni film porno di terza categoria. Sono stanco di codesta situazione e vorrei coronare il nostro sogno d'amore con un matrimonio benedetto dal Signore o almeno da alcune divinità della foresta. Ti prego mio paladino dammi lumi! Carissimo Ildebrando sono davvero commosso per quanto tu mi descrivi. Il mio occhio ricolmo di calde lacrime è il segno visibile della commozione che tu hai generato nel mio generoso cuore, pur tuttavia non ti posso mentire: non hai speranze! Tralascia WANDA e dedicati ai presepi ove potrai trovar pace e ristoro per la tua anima inquieta e a mal partito sposati una pecora. Ti prego inoltre di inviarmi l'indirizzo di WANDA in modo che io la possa consolare dalla futura grave perdita. Intanto addio mio caro...addio.

domenica, agosto 23, 2009

ADRIA D'ESTATE: SFILATA "PRET A PORTER"


Nella girandola di apprezzate iniziative per rallegrare l'estate degli etruschi d'oriente, particolare successo ha avuto venerdì scorso la prima sfilata di moda pret a porter per vecj mati. Nella splendida cornice della Piaseta del Polame hanno sfilato decine di modelle e modelli i quali indossavano i capi di varie collezioni autunno inverno dei più apprezzati atelier etruschi. Fittissima la partecipazione del competente pubblico tra cui una delegazione della casa di riposo di Tirana la quale da anni è gemellata con quella della capitale etrusca. "Go visto dei maravagliosi gabban in flanela e dele cotole davero 'leganti" ci dice la nota critica di moda Mariolina Ginulfi la quale scrive per il prestigioso periodico VECIAZZA GLAMUR 2000. Non è mancato pure l'intervento del Sindaco il quale ha sottolineato l'importanza della sfilata la quale vuole dare un segnale sia culturale che economico di rinnovamento etrusco. Inutile dire che alla fine della sfilata decine e decine di anziani si sono precipitati ad acquistare i capi presentati in passerella con profonda soddisfazione delle sartorie presenti. "Ho davvero fatto un buon bottino questa sera..." ci conferma Renato Badile..."...e pensare che volevo gettare questi vecchi capi dentro il cassone della Caritas!" La serata si è poi conclusa con uno spettacolo pirotecnico a sorpresa che ha causato 12 decessi tra il pubblico ma tutto in un clima di giocosa festività.

sabato, agosto 22, 2009

INATTESA VISITA!


Grande stupore ieri nella capitale etrusca d'oriente per l'inatteso arrivo della Dottoressa CINSIA CIEN del Dipartimento Buone Relazioni Culinarie tra la Cina e Adria. In concomitanza con il venerdì dei balocchi la prestigiosa diplomatica si è presentata alla novella amministrazione per avere maggiori e più approfondite notizie sulla polemica scaturita ultimamente sulla diffusione nel territorio etrusco di svariati "lodamari cinasi" e esercizi commerciali sprovvisti delle insegne in italiano i quali generano nelle plebi etrusche scompiglio e disorientamento. Tutto inizia con un accorato appello da parte di un noto rappresentante forzanuovista per il rispetto della lingua italiana e sulla intrinseca pericolosità per le genti della mancanza delle necessarie traduzioni negli esercizi cinasi. "Magari un cittadino entra in un botteghino cinaso per acquistare del patè d'oca e se ne esce con una saponetta, torna a casa e se ne ciba per poi finire in lettiga al monoblocco. Ecco; a chi chiedere i dovuti danni!?" tuona dalle colonne dei tabloid cittadini l'illustre nonché acuto politico. Il riverbero della notizia travalica le catene montuose, corre sulle onde dei mari e giunge fino a Pechino nell'ufficio della Dottoressa Cien la quale smette di dedicarsi al tombolo ed inforcata la propria bici graziella si fionda ad Adria. Data l'importanza della visita ho ritenuto opportuno mandare a raccogliere informazioni al baldo Pino Sbando il quale con spirito di servizio si è fiondato in centro città per un'intervista con la Dottoressa.
Pino Sbando: Cari amici ci troviamo fuori dal noto ristorante cinaso "Dragone volante" in attesa che la dottoressa Cinsia Cien finisca la sua lauta cena per poi concederci un'intervista...ma eccola che arriva ruttando e pulendosi la bocca dal cibo che si annida tra i denti con l'ausilio di una spada; la raggiungiamo. Stimata Dottoressa mi presento sono Pino Sbando di Antimateria-grigia spero che Ella vorrà rispondere ad alcune mie pressanti domande.
Cinsia Cien: ma certo caro il mio orrendo cane bianco!
P.S.: Dunque come lei ben sà alcuni giorni fa su un prestigioso giornale etrusco è sorta una polemica sugli esercizi commerciali e di ristorazione cinasi i quali vengono accusati di vendere oggetti pericolosi e senza autorizzazione e di servire cibi le cui caratteristiche organolettiche possono nuocere gravemente alla salute. Cosa ci può dire a tal proposito?
C.C.: Guardi sono solo illazioni, fumo negli occhi. Ho appena consumato un piatto n°34 (testa di delfino laccato in salsa di bambù") in questa topaia che il gestore ha l'ardire di definire ristorante e se non fosse per il fiato fecale che mi ha lasciato in bocca direi che ho mangiato benissimo e mi sento divinamente.
P.S.: Insomma lei ci garantisce che le cibarie proposte nei "lodamari cinasi" son degne della "guida Michelin ai cibi e sapori esotici!"
C.C.: Ma certo che si... mi scusi un attimo che mi piego sul quel tombino che debbo regattare un po di delfino, ne ho mangiato troppo!
P.S.: Complimenti per la sboccata Dottoressa ma torniamo a noi..... prenda un mentino intanto che formulo la domanda. Dunque, altro punto della querelle innescata dal noto politologo forzanuovista è la pericolosità, sotto un punto prettamente economico, dei rapporti commerciali tra la Repubblica Popolare Cinasa e la Capitale Etrusca d'Oriente. Vi si accusa di soffocare l'imprenditorialità locale con squallide operazioni di dumping commerciale e contraffazione dei prodotti tipici etruschi, vedi i "sugoli doc del delta! e le "spumiglie de vovi marsi". Come risponde a questa accusa?
C.C.: Guardi rigetto con forza questa accusa. Faccio notare che per la Repubblica Popolare Cinasa è di fondamentale importanza il rapporto commerciale ed economico con la Capitale Etrusca. Tanto per esser chiari noi da Adria importiamo tonnellate di siluri tipici del Canal Bianco ed esportiamo bastimenti di giocatori di video poker con grande soddisfazione per entrambe le economie. In una situazione di globalizzazione dei mercati è quantomeno fuori luogo riproporre teorie conservative di puro stampo mercantilistico..... senta mi procuri un fernet branca che c'ho un imbarazzo di stomaco da incubo e tra un po inizio a petare senza ritegno!
P.S.: Garcion, presto un fernet per sta giganta tout de suite!
C.C: Grazie Pino, già che ci sono volevo chiederti se il Doctor Erre è ancora senza morosa perchè io sarei un bel donnino e non mi dispiacerebbe come ometto!
P.S.: mi farò latore di questa proposta anche se le comunico che il mio principale è ormai in andropausa e passa il tempo a fare inutili origami ai giardini pubblici. Il tempo è tiranno e ora la devo lasciare, mi attende un'altra intervista con un maniaco paranoico che sta sparando dalla torre pizometrica sugli ignari passanti. La saluto.

sabato, agosto 15, 2009

Messaggio da parte di Lord Buozzi


Stamane, mentre terminavo l'installazione di una batteria anti aerea contro le zanzare nel giardino di casa mia, sono stato raggiunto da un messaggio da parte del carissimo amico Lord Buozzi attualmente in ferie in un'isola a cazzo nell'Egeo. Nel rallegrarmi nel saperlo in piena forma posto con letizia il suo messaggio.

"Carissimo Erre indomito nonché entusiasta cultore delle opere lignee del seicento, brillante giocatore di morra nonché eccelso lanciatore di giavellotto chi ti scrive con sincera amicizia è il tuo vecchio amico Lord Buozzi. Attualmente mi trovo in vacanza in una misteriosa isola dell'Egeo dove coltivo la mia vecchia passione dell'ubriacamento. Il clima è fantastico anche se le continue folate di vento caldissimo fanno ardere il mio gozzo in maniera spaventosa abbligandomi ad estenuanti sedute baresche per chetare l'inumana sete. La cosa che ti volevo far notare è l'imbarbarimento morale dei ggiovani che anche in questa remota landa si lasciano andare a comportamenti lascivi degni del tardo impero romano. Giusto ieri mi stavo recando dal vinaio per accapparrarmi una botte di vino rarissima quando passeggiando per la via ho incontrato due pulzelle le quali senza curarsi della decenza comune annodavano le proprie lingue insieme. Inutile dire che sono rimasto colpito da questo bizzarro comportamento. Dopo alcuni istanti di sbigottimento mi sono lestamente avvicinato alle due e con fare disinvolto ho inavvertitamente posato la mia mano sui glutei di una delle due monelle non certo per libidine ma per constatarne la consistenza e determinarne l'età. A quel punto la ggiovine si è voltata e dopo avermi malamente apostrofato mi ha assestato un ceffone che mi ha fatto traballare. Caro amico non esiste più rispetto per i vecchi sporcaccioni e a mio modesto avviso il mondo è destinato ad un'era di barbarie se lasciato in mano a codeste orde ggiovanili. Ora ti saluto, mi attende una china martini calda prima della passeggiata notturna sulla battigia.

Carissimo Lord Buozzi non posso che esternarti tutta la mia solidarietà ma i tempi cambiano e con loro anche le usanze delle genti. Ti consiglio anche di smetterla di andare davanti alle scuole magistrali vestito unicamente di un impermeabile perché potresti incappare in qualche genitore ipersensibile. Ciao.

domenica, agosto 09, 2009

FAZIONE ATTACCA: Prodotti Avitaminici


L'incendio
L'incendio\barre di cadmio\reiko4. 4.444


Io e' il Ciocco eravamo cresciuti assieme, stesso palazzo, stesso asilo, stesse elementari, stesse medie e stesso biennio di superiori…poi stessa officina. Il fatto di essere sempre assieme ci aveva alla fine isolato dal resto degli altri ragazzi facendoci, al fine, chiedere perche' ci evitavano tutti come delle merde di cane ben visibili su un pavimento di marmo bianco. La risposta ci venne dopo alcuni reiterati tentativi di approccio con il gentil sesso: eravamo brutti e anche poco simpatici. Insomma la nostra accoppiata era come un ambo di numeri che mai nessuna ruota sarebbe stata in grado di esporre. Nel nostro simbiotico rapporto amicale ci eravamo scordati di coltivare la sana abitudine umana dei rapporti sociali rendendoci avvezzi unicamente ai nostri hobby. Dopo lunghi e tormentosi ragionamenti filosofici avevamo deciso di abbandonare definitivamente la scalata al regno immacolato della socialità umana, del resto la società contemporanea ci offriva palliativi e placebo sicuramente atti a soddisfare i nostri bisogni sia interiori, intellettuali e perche' no anche fisiologici. Eravamo due statue di cera, eravamo scorbutici, eravamo brutti e magari puzzavamo…ma chi, ditemi, chi non lo e' in fondo all'anima? Insomma il nostro lavoretto settimanale ci permetteva la soluzione ed il soddisfacimento dei nostri trastulli di fine settimana, ma oltre a quelli ci eravamo pure ingegnato un simpatico post- lavoro per pagare la nostra barchetta per la pesca. Il commercio secondario, questo bel polmone, ci aveva reso autosufficienti, pescatori fatti con natante in proprio. Il lavoretto consisteva nella dura e perigliosa opera di smaltimento di batterie esauste e oli bruciati. Insomma un lavoro che nessuno amava e che ai proprietari di officine costava più del giusto. In tempi di libero mercato, di globalizzazione, di incontro tra domanda ed offerta noi avevamo trovato la nostra nicchia di sopravvivenza. Le batterie finivano al fiume, cazzo con tutti i veleni che ci stavano già di suo che cazzo avrebbe voluto dire un mezzo litro di acido solforico in più? Per gli oli tutto nella fogna, ale' un mezzo quintale qua e un altro mezzo là. Nel giro di un anno avevamo dato degna sepoltura a qualcosa come duemila batterie e la rete fognaria s'era bevuta qualcosa come tremila litri di liquidame denso e nero. Gesù va pur detto che il lavora aveva i suoi rischi ma la barca s'era pagata in un batter d'occhio. Alla pesca si usciva il giovedi' notte, notte propizia per la pesca di tutto. I metodi erano quelli più proficui e meno noiosi, reti irregolari, elettricità e nelle notti estive con temporali bussolotti carichi di carburo che dopo il botto rendevano alla superficie il pescato. La pesca e' uno sport che rilassa, rende l'uomo sereno e le pance satolle. Quel giovedì eravamo davvero carichi, dopo un paio d'ore al bar a bere birre ci eravamo messi in moto verso l'attracco del nostro supremo natante usufruendo della macchina del Ciocco, una bella 128 di proprietà del nonno del sopra citato. Il vegliardo ormai stava steso da tre anni su di un letto con tanto di catetere e bacinella per le repentine evacuazioni dato che un ictus tremendo gli aveva tolto l'energia elettrica da tre quarti del corpo. Gli si muoveva solo un occhio e l'unica parola che riusciva a dire era "merda". Il Ciocco, che in fondo era un bel sensibilone, si era subito affrettato a dar la sua più completa disposizione al mantenimento del mezzo pagando tanto di bollo e assicurazione. Quella era diventata la nostra utilitaria di servizio. Raccolte le canne, le esche ed il materiale da sollazzo ci mettemmo in strada accompagnati dal bel canto degli AC/DC a manetta. Si era preventivata pure una pompa con la negretta che pascolava sulla statale ma eravamo in netto ritardo e non ci sembrava il caso di perder tempo prezioso con una troia nera per giunta. Insomma filavamo tranquilli verso il pontile sull’argine di destra del fiume quando davanti a noi si parò il destino sotto forma di apecar verde cilindrata 125. Quell’ape era del Rognoni, il vecchio frocio merdoso che abitava nella casupola appena fuori dal comune. Lo stronzo lo aveva parcheggiato nel bel mezzo della carreggiata di traverso e neppure una motoretta da invalido ci poteva passare. Il Ciocco, sacramentando come uno scaricatore, piantò il piede sul freno e il 128 mai domo iniziò una sbandata sulla sinistra ma il signore ci era amico e ci fermammo a meno di mezzo metro dal trabiccolo lamierato. “Rognoni figlio di puttana, ‘fanculo frocio di mmmerda dove cazzo stai?” si mise ad urlare il Ciocco. Le tre Dreher da 0,5 gli avevano impastato la bocca ma la mente quella era ancora in grado di reagire. Il Rognoni apparve dal lato della strada da dietro un cespuglio. Un bisogno fisiologico gli aveva interrotto il viaggio di ritorno al suo baracco in stile tardo decadentismo post-industriale. Si stava tirando su la patta dei calzoni e alcune macchie di urina stavano ad indicare che la sua minzione era stata bruscamente interrotta. Aveva il volto rubizzo e l’occhio navigato da trita bottiglie. Con la voce impastata ci disse “Ciao ragazzi, scusate, scusate!! Ma c’avevo la piscia che mi saltava fuori dall’uccello!”. Il Rognoni ci conosceva bene, più di qualche volta al cinema si era intrufolato dietro le nostre poltrone come un avvoltoio in attesa che uno di noi si alzasse per andare al cesso. Come un lupo affamato allora ci seguiva. La proposta era sempre quella: un 5.000 per vedere la brenna, un 10.000 per una toccatine. Devo pur ammettere che in periodi di borsa decrescente ed evidente recessione economica avevamo accettato dei 5.000 e anche dei fogli da 10 ma dio c’era testimone trovavamo quel vecchio un vero abbruttito e degenerato. Io personalmente lo avrei bastonato di brutto tutte le volte e gli avrei fregato pure il cuoio con i soldi dentro, un’opera di giustizia credo, ma il Ciocco si divertiva a vederlo con gli occhi fuori dalla testa in attesa che gli si svelasse l’attrezzo davanti agli occhi. Appena lo vide spuntare da dietro il cespuglio al Ciocco brillarono gli occhi. Ci vidi un lampo mefistofelico, diabolico, da vero demone. Io ero un letterato, avevo letto tutto Stephen Kink e Lovercraft, visto i film di Dario Argento e ben sapevo cosa era uno sguardo mefistofelico. Mi piaceva quel “sguardo mefistofelico” suonava bello….gotico. Come dicevo il Rognoni era in preda alla “fiaschite” ebbro di vino e altre porcherie da due soldi bevute senza risparmio in qualche bettola da ubriaconi putrescenti. Nonostante la sbronza che gli filtrava fuori dai pori della pelle come una luce dal fondo della fogna, il vecchio baldraccone era sempre in argomento: il dio cazzo serpeggiava dentro quel gomitolo di merda che era il suo cervello. Il Ciocco si voltò e mi disse piano piano: “ Oh oh guarda guarda Mirko chi c’e’ il Sindaco Rognoni….soldini in cassa questa sera!!!”Rimasi perplesso ma devo dire che l’idea mi faceva anche ridere, era un sacco che non spillavamo soldi al vecchio baluba. “Ragazzi, ragazzi miei cari ragazzi che dite di arrivare fino a casa mia vi offro un liquorino…eh che dite!!” disse la fogna umana. Rimasi a fissarlo in faccia a guardare quella bocca informe e impastata, quella faccia consumata e ricoperta da sudore e grasso, quegli occhi da porco schifoso. “Perche’ no…fa freddo dai Rognoni che magari ti faccio vedere il tubo” disse il Ciocco prima ancora che io riuscissi ad aprir bocca. Ero perplesso, ma mi dicevo dentro di me che manco per un milione gli avrei fatto toccare l’uccello, mi avrebbe attaccato chissà quale serie infinita di tumori quella merda là, se era davvero in vena di far soldi il Ciocco ci avrebbe messo del suo, io mi sarei sgollato un grappino e poi fumato una sigaretta, che cazzo!!. Montammo in macchina e precedemmo il bicocca verde del vecchio presso la sua imperiale magione. Dio Cristiano una topaia da incubo, pezzi di lamiera e galline che scorazzavano davanti l’uscio. Il Rognoni arrivò traballante e pieno di voglie dopo poco. A piede malfermo si avvicinò a noi battendoci le mani sulle spalle, a me gli venne pure la voglia di toccarmi il culo, lo lasciai fare, non volevo cacciar grane. Puzzava di scoreggia marcia, vino e tabacco da quattro soldi. Entrammo e ci si parò davanti agli occhi il suo antro. Una specie di salotto lurido, un vermaio dove un puzzo di sperma secco e vomito aleggiava come una nebbia infernale eterna. “allora che dite, dai beviamo qualcosa e poi vi faccio vedere un bel filmino ehh!!!” “dai porcello fuori il film e l’amarena” Al vegliardo brillarono gli occhi. Dalla sua cineteca tirò fuori uno dei suoi pezzi forti. Un filmino olandese da incubo. In una vecchia fattoria tre uomini nudi fottevano una donna talmente fatiscente che nemmeno se mi fosse presa la lebbra mi sarei fatto. I tre la sbattevano come uno straccio pieno di polvere, poi si misero a fottere fra loro e tocco finale dalla vecchia stalla nella vecchia fattoria tirano fuori un maiale e alla donna gli fanno toccare l’attrezzo suinesco. “ “Porca di una puttana ma fa schifo al cazzo stà roba, dico vecchio pazzo ma dove la trovi?” mi venne da dire. “Amici, me le danno i miei amici”. Provai ad immaginarmi i suoi amici, me li vedevo saltar fuori da una pozza di fango il cui fondo si adagiava al buco del culo dell’inferno. Gente con due teste mezzi cani mezzi draghi. Porca di una troia che macellame. Il Ciocco era a bocca aperta e il vecchio bavoso aveva allungato la mano. Vidi la faccia del Ciocco trasformarsi da una maschera di stupore a il volto di un quadro astratto fatto di fulmini gialli che saltavano fuori dalla tela. Il vecchio spurgo rimase fermo un attimo capendo l’entità della cazziata marziale che aveva commesso, al Ciocco scoppiò un temporale in testa e spinse via il fagotto di carne ammuffita con un urlo. “Vecchia cotica di merda, porco schifoso non ti azzardare a mettermi le mani addosso, io ti ammazzo!!” Ero indeciso se pensare se si trattasse di una bella pantomima per spillare qualcosa di cartaceo a valore corrente pagabile al portatore allo spurgo oppure se al Ciocco non fossero risaltate fuori delle reminiscenze da crociato protettore della morale, nel dubbio mi ero alzato dal comodo divanetto e mentre infuriava la tempesta d’offese e spinte mi misi a gironzolare per la bicocca del pederasta in cerca di souvenir per la serata. Mi spostai in cucina e aprii il frigo…macchè zero di zero solo vinaccio di bassa qualità e mezzo pollo lesso,doveva essere la dieta che contribuiva al declino morale di quell’uomo pensai. Intanto il trambusto iniziava a farsi un po troppo pesante e decisi di ritornare sulla scena della diatriba. Eccoli là, il Ciocco paonazzo che riempie di calci sullo stomaco il Rognoni piegato in due come un volantino del supermercato infilato nella cassetta della posta. “Hoi Ciocco datti na calmata o lo stronchi questo vecchio polmone, si va dritti all’inferno per questo, peccato mortalissimo!”. Ma niente, l’occhio assassino del Ciocco non si spostò neppure per un attimo dal suo bersaglio. Cazzo si faceva bruttina la storia. “Basta, basta, vi denuncio, vi faccio finire in galera bracconieri, ladri, bastardi figli di troie” aveva iniziato a piagnucolare il rottame dal tappeto stile persiano. Ci fu un attimo di pausa, ma era solo la calma prima della tempesta perché ormai il Ciocco era in preda ad una possessione voodoo poi alla fine prese in mano il televisore che proiettava l’immagine di un culone aperto e dopo averlo sollevato lo fracassò sulla testa del vecchio. Cristo d’un Dio, fece un crac seguito da fumanelle mentre il corpo del Rognoni si dibatteva come un pupazzo…poi niente. Sentivo il respiro del Ciocco riempire la stanza, lì fermo impalato, con il boccalone aperto a prender mosche. In piedi come un gladiatore che dopo aver fatto a pezzi l’avversario rimane intontito dal sangue e dalla fatica. Qualcosa di epico! Mi accesi una sigaretta ingollando un po di birra da una lattina che si era salvata dalla lotta, mi si era seccata la gola e non posso nascondere che una leggera strizza iniziava a contrarmi il culo. Mazza, avevamo o meglio il Ciocco aveva accoppato il Rognoni, mica che fosse stata una gran perdita ma poteva significare la fine delle nostre imprese commerciali. Proprio adesso che si pensava di cambiare vita, proprio adesso che magari si stava facendo avanti l’idea di una ragazza, di un lavoro serio, una casa, una famiglia. Due vite interrotte, rovinate da un incontro con il fato assassino. No, non mi andava la storia. Intanto il Ciocco si era ripreso, lo avevo sempre detto “Ciocco te ti fai pigliare dal nervo un po troppo, come quando si va alla pesca, c’hai troppa fretta e poi combini il casino.” Era come un bamboccione senza controllo a cui avessero tolto l’energia, piegato sulle ginocchia rimaneva seduto sulla poltrona sporca di birra sangue e sbroda ammuffita del vecchio guardandone il corpo senza vita come si guarda un gatto morto stecchito sul ciglio di una strada. “adesso che si fa? dobbiamo scappare Mirko, dobbiamo darcela a gambe cazzo!”. Ecco che non ragionava più, c’erano tracce e impronte nostre su ogni dove dentro quella topaia e magari qualcuno aveva visto la nostra macchina in precedenza sulla strada, ci voleva freddezza, intelligenza e calma. Il tutto si era svolto in nemmeno 30 minuti, che sono trenta minuti, magari un cazzo sbilenco con il suo fighino mentre si imboscavano nella boscaglia avevano sentito o visto il nostro macchinino scendere per la strada, ma erano solo trenta minuti. Mi guardai un attimo in giro, dove stava il punto debole di quella casa? La cucina: riscaldamento a gas, bombola di propano…ottimo. Decisi per un breve sopralluogo in esterno, speravo di trovare la bombola di riserva, questo vecchio sporcaccione era troppo pigro per averne una sola alla volta. Come previsto trovai la bombola, anzi le bombole nel retro della casa. Ottimo i pezzi iniziavano ad incastrarsi come volevo io. Il riscaldamento: elettrico, che puzzone schifoso, manco una stufa a kerosene! Dissi al Ciocco di non fare lo smemorato di Cologno e di smuoversi un attimino che si andava di fretta per salvare il nostro beneamato culo da quell’inghippo in cui la sua poca padronanza di nervi ci aveva buttai. “Cazzo Ciocco dai togli il televisore dalla testa del Rognoni e rimettilo sul suo tavolino e poi porta il corpo qui, mettilo seduto sulla poltrona. Mi raccomado girala verso la porta della cucina.” Detto fatto, il mio amico Golem forte della sua bruta ed innata energia si era messo in moto. Ci voleva un tocco di grazia. Corsi in cucina e con uno straccio presi in bottiglione del vinaccio dal frigo. “Bona lè! Si brinda , dai Ciocco senza esagerare aprigli il boccalone alla carcassa” “Ma che cazzo vuoi fare? Sei andato giù di matto Mirko?”. Perché mi sono sempre chiesto, perché le persone fragili di nervi e con l’intelligenza corta devono sempre fare domande o chiedere chiarimenti ai geni! Che cazzo! “Non fare domande cretine dai aprigli quella fogna che lo riempiamo di buon Trebbiano doc, almeno che voli in cielo bello carico. Il ciocco gli apri la bocca e con un dito tenne aperta la gola in modo che il vinaccio si infilasse giù dentro il sacco stomacale della carogna che già puzzava di putrefazione. Ecco era tutto pronto. Era tempo di preparare la bomba. Entrai in cucina , presi un bricco e lo riempii di acqua e poi lo misi sul fuoco, nel mentre allentai un po la gomma della bombola e li vicino ci appostai l’altra. Poi in salotto e accesi la stufa elettrica. Rientrai in cucina e con un soffio spensi la fiamma del bricco. Era tutto pronto. “Bona Ciocco si smamma!” Salimmo sul vetturino e a fari spenti iniziammo un ritorno non tanto spedito, sarebbe stato fatale uno sbarro lì nel buio a uno sputo di metri dal luogo del futuro lancio nello spazio del novello cosmonauta Rognoni Egidio. Nel mentre il gas aveva invaso la cucina e poi si era insinuato in salotto, veloce e silenzioso come un serpente il gas aveva raggiunto le resistenze arrossate della stufetta elettrica e le molecole avevano iniziato ad interagire sempre più veloci in un fascio di fuoco, poi l’esplosione e poi la seconda, terribile, un botto cosmico. Nell’oscurità vedemmo una fiammata innalzarsi verso il cielo. “Cristo, diritto sulla luna, Vai Rognoni fatti onore!!!” Nell’oscurità vedemmo apparire di lontano i fanali di una macchina, facemmo un po di retro per osservare il primo incredulo visitatore. Erano due coppiette di sbarbatelli con il vetturone del babbo a prestito, adesso avevano materiale da raccontare per settimane ai loro confratelli di discoteca. Nel mentre noi due prendemmo una stradina che portava a ritroso sulla statale lungo il boschetto. Arrivammo giusti giusti mentre uno dei pisquani chiamava il 113. Dio che meraviglia avevamo un alibi anche per quello. Quattro fresconi eccitati dalle fiamme che ci avevano visti arrivare dritti dritti dalla parte opposta al lancio spaziale. I primi ad arrivare furono i poliziotti con un ritardo netto di 25 minuti dal lancio, ormai il secondo stadio del vettore si era sganciato negli spazi siderali e l’animaccia del Rognoni veleggiava in assenza di gravità nei freddi siderali. I pompieri arrivarno con 40 minuti di ritardo. Uno scandalo se permettete cazzo!! Era davvero troppo tardi, eccolo là il Rognoni immerso negli anelli di Saturno, grazie alla spinta gravitazionale del pianeta avrebbe adoperato l’effetto fionda per uscire definitivamente dal sistema solare. Amen! Le ore passavano, si era fatto chiaro e il capannello di curiosi stava scemando. Decidemmo per il rientro, la nottata era stata lunga e perigliosa e non si era pescato niente. Tempo perso per il cazzo.
Il giorno dopo andammo in commissariato a dire la nostra, che poi era un meno di zero. “Si noi siamo arrivati lì e abbiamo visto il mercedes bianco fermo…e il fuoco……no non so come sia stato….no…non ho sentito lo scoppio, ascoltavo la radio….si faceva un giro….si credo di si…sa, noi siamo gente che lavora di giorno….la pesca…ma non ce la siamo sentita di andarci eravamo impressionati…si ecco la licenza.” Bene grazie e arrivederci! Il Ciocco fece lo scimmiotto e questo gli veniva da Dio, che volere di più dalla vita…uno stracazzo di Lucano magari?
Al bar non si parlava d’altro, del vecchio porco che si era fatto saltare in aria a casa magari perché aveva bevuto…quel vecchio maiale. I capitan coraggio saltavano fuori come funghi. “se lo meritava, gli avrei spaccato le ossa se solo lo vedevo girare intorno alla mia ragazza” “Poco ci mancava che un giorno gli sparassi col fucile da caccia…a quel porco guardone…se l’he meritata!”. Eccoli là come un branco di iene addosso alla carogna frolla che imputridisce, belli tronfi, ma che vergogna. “Ma in fin dei conti era un povero disgraziato, senza famiglia, senza niente, faceva più pena che schifo!” mi intromisi. “Che ne sai te Mirko di quello, mica c’hai na figlia o na ragazza…sempre chiuso dentro quell’officina, che cazzo ne sai!” Giusto che cazzo ne potevo sapere io. Intanto i giorni passarono e si venne a sapere che del Rognoni se ne erano trovati dei brandelli qua e là mezzi carbonizzati e se non fosse stato per un pezzo di faccia abbrustolita con quattro denti attaccati manco si sarebbe potuto dire che quel poco che rimaneva di ciccia carbonizzata fosse stata la sua. Poi saltò fuori che avevano trovato un pezzo di panza con mezzo stomaco assalito da vermi e che le analisi davano quasi per certo che si era sgollato molto alcool il buon Rognoni. La solitudine fa questi effetti, uno beve, beve si dimentica il bricco e la bombola di ricambio in casa, s’addormenta e si ritrova proiettato al centro del sole come uno stronzo a spasso nello spazio. Tutto molto triste. Il tempo ha sanato queste ferite, tutto è ritornato normale. Io mi sono trovato una fidanzata con i fiocchi, si chiama Emanuela ed è una topina davvero bella. Suo babbo ha un supermercato e gli piacerebbe che lavorassi con lui. In effetti l’officina mi ha un po rotto le palle e devo davvero mettermi in ordine per una vita decente. Dimenticavo, il povero Ciocco l’anno dopo il fatto s’era comperato una moto davvero tosta, peccato fosse un po duro come pilota e ha reso l’anima su un tiglio al km 36 della statale 28. Pace all’anima sua, se avrò un figlio lo chiamerò Maurizio, in sua memoria.

Reiko4/4.444 Prodotti Avitaminici