lunedì, agosto 31, 2009

QUEZITO EXZISTENIALE N° 77.893


Stamane, mentre eseguivo una liposuzione al cane del vicino, sono stato raggiunto da un commovente messaggio cartaceo inviatomi da tale Ildebrando da Cantarana. Colpito dalla profondità dell'ominide in questione e dal suo dilemma esistenziale non ho potuto trattenermi da uno slancio umanitario. Posto con letizia consueta. "Carissimo Erre, stimato cavallerizzo, cultore dell'arte pre raffaelita, incisore sopraffino, conducador di masse nonchè abile piromane, chi ti scrive con il cuore spezzato è il sottoscrittoIldebrando, tuo umile nonché affezionato seguace. Tosto ti pongo il mio amaro quezito sperando in un tuo consiglio. La mia storia inizia 42 anni fa quando tra lo stupore dei paesani venni alla luce dal grembo di mia madre che per tutti era un uomo ma non per me. All'età di 21 anni mia madre mi portò a conoscenza di un doloroso segreto: ERO UN NANO! Ti posso assicurare che la notizia mi colse come fulmine a ciel sereno inducendo in me un profondo stato depressivo che tentai di curare dedicandomi anima e corpo allo studio della veterinaria applicata. Con spirito indomito e furente studio riuscii all'età di 37 anni a laurearmi con una tesi sulla colite spastica dei pachidermi la quale mi fruttò una menzione nella rubrica "forse non tutti sanno che..." della prestigiosa rivista scientifica LA SETTIMANA ENIGMISTICA. Nonostante le luci della ribalta, l'acclamazione nel mondo accademico in me rimaneva un doloroso cruccio: mi tiravo 70.000 seghe all'anno senza speranza di approcciare una donna. La dannazione si era impossessata di me. Ricordo ancora le centinaia di €uri dilapidati in annunci su riviste specializzate in scambio di coppia per trovarmi una adeguata collocazione sessuale. Ma alla fine tutto questo è sparito quando nella mia vita è apparsa WANDA, la donna che io amo. Purtroppo i genitori di lei, due nobili BANTU', non vedono di buon occhio la nostra relazione e siamo costretti a trovarci sotto mentite spoglie unicamente sui set di alcuni film porno di terza categoria. Sono stanco di codesta situazione e vorrei coronare il nostro sogno d'amore con un matrimonio benedetto dal Signore o almeno da alcune divinità della foresta. Ti prego mio paladino dammi lumi! Carissimo Ildebrando sono davvero commosso per quanto tu mi descrivi. Il mio occhio ricolmo di calde lacrime è il segno visibile della commozione che tu hai generato nel mio generoso cuore, pur tuttavia non ti posso mentire: non hai speranze! Tralascia WANDA e dedicati ai presepi ove potrai trovar pace e ristoro per la tua anima inquieta e a mal partito sposati una pecora. Ti prego inoltre di inviarmi l'indirizzo di WANDA in modo che io la possa consolare dalla futura grave perdita. Intanto addio mio caro...addio.

domenica, agosto 23, 2009

ADRIA D'ESTATE: SFILATA "PRET A PORTER"


Nella girandola di apprezzate iniziative per rallegrare l'estate degli etruschi d'oriente, particolare successo ha avuto venerdì scorso la prima sfilata di moda pret a porter per vecj mati. Nella splendida cornice della Piaseta del Polame hanno sfilato decine di modelle e modelli i quali indossavano i capi di varie collezioni autunno inverno dei più apprezzati atelier etruschi. Fittissima la partecipazione del competente pubblico tra cui una delegazione della casa di riposo di Tirana la quale da anni è gemellata con quella della capitale etrusca. "Go visto dei maravagliosi gabban in flanela e dele cotole davero 'leganti" ci dice la nota critica di moda Mariolina Ginulfi la quale scrive per il prestigioso periodico VECIAZZA GLAMUR 2000. Non è mancato pure l'intervento del Sindaco il quale ha sottolineato l'importanza della sfilata la quale vuole dare un segnale sia culturale che economico di rinnovamento etrusco. Inutile dire che alla fine della sfilata decine e decine di anziani si sono precipitati ad acquistare i capi presentati in passerella con profonda soddisfazione delle sartorie presenti. "Ho davvero fatto un buon bottino questa sera..." ci conferma Renato Badile..."...e pensare che volevo gettare questi vecchi capi dentro il cassone della Caritas!" La serata si è poi conclusa con uno spettacolo pirotecnico a sorpresa che ha causato 12 decessi tra il pubblico ma tutto in un clima di giocosa festività.

sabato, agosto 22, 2009

INATTESA VISITA!


Grande stupore ieri nella capitale etrusca d'oriente per l'inatteso arrivo della Dottoressa CINSIA CIEN del Dipartimento Buone Relazioni Culinarie tra la Cina e Adria. In concomitanza con il venerdì dei balocchi la prestigiosa diplomatica si è presentata alla novella amministrazione per avere maggiori e più approfondite notizie sulla polemica scaturita ultimamente sulla diffusione nel territorio etrusco di svariati "lodamari cinasi" e esercizi commerciali sprovvisti delle insegne in italiano i quali generano nelle plebi etrusche scompiglio e disorientamento. Tutto inizia con un accorato appello da parte di un noto rappresentante forzanuovista per il rispetto della lingua italiana e sulla intrinseca pericolosità per le genti della mancanza delle necessarie traduzioni negli esercizi cinasi. "Magari un cittadino entra in un botteghino cinaso per acquistare del patè d'oca e se ne esce con una saponetta, torna a casa e se ne ciba per poi finire in lettiga al monoblocco. Ecco; a chi chiedere i dovuti danni!?" tuona dalle colonne dei tabloid cittadini l'illustre nonché acuto politico. Il riverbero della notizia travalica le catene montuose, corre sulle onde dei mari e giunge fino a Pechino nell'ufficio della Dottoressa Cien la quale smette di dedicarsi al tombolo ed inforcata la propria bici graziella si fionda ad Adria. Data l'importanza della visita ho ritenuto opportuno mandare a raccogliere informazioni al baldo Pino Sbando il quale con spirito di servizio si è fiondato in centro città per un'intervista con la Dottoressa.
Pino Sbando: Cari amici ci troviamo fuori dal noto ristorante cinaso "Dragone volante" in attesa che la dottoressa Cinsia Cien finisca la sua lauta cena per poi concederci un'intervista...ma eccola che arriva ruttando e pulendosi la bocca dal cibo che si annida tra i denti con l'ausilio di una spada; la raggiungiamo. Stimata Dottoressa mi presento sono Pino Sbando di Antimateria-grigia spero che Ella vorrà rispondere ad alcune mie pressanti domande.
Cinsia Cien: ma certo caro il mio orrendo cane bianco!
P.S.: Dunque come lei ben sà alcuni giorni fa su un prestigioso giornale etrusco è sorta una polemica sugli esercizi commerciali e di ristorazione cinasi i quali vengono accusati di vendere oggetti pericolosi e senza autorizzazione e di servire cibi le cui caratteristiche organolettiche possono nuocere gravemente alla salute. Cosa ci può dire a tal proposito?
C.C.: Guardi sono solo illazioni, fumo negli occhi. Ho appena consumato un piatto n°34 (testa di delfino laccato in salsa di bambù") in questa topaia che il gestore ha l'ardire di definire ristorante e se non fosse per il fiato fecale che mi ha lasciato in bocca direi che ho mangiato benissimo e mi sento divinamente.
P.S.: Insomma lei ci garantisce che le cibarie proposte nei "lodamari cinasi" son degne della "guida Michelin ai cibi e sapori esotici!"
C.C.: Ma certo che si... mi scusi un attimo che mi piego sul quel tombino che debbo regattare un po di delfino, ne ho mangiato troppo!
P.S.: Complimenti per la sboccata Dottoressa ma torniamo a noi..... prenda un mentino intanto che formulo la domanda. Dunque, altro punto della querelle innescata dal noto politologo forzanuovista è la pericolosità, sotto un punto prettamente economico, dei rapporti commerciali tra la Repubblica Popolare Cinasa e la Capitale Etrusca d'Oriente. Vi si accusa di soffocare l'imprenditorialità locale con squallide operazioni di dumping commerciale e contraffazione dei prodotti tipici etruschi, vedi i "sugoli doc del delta! e le "spumiglie de vovi marsi". Come risponde a questa accusa?
C.C.: Guardi rigetto con forza questa accusa. Faccio notare che per la Repubblica Popolare Cinasa è di fondamentale importanza il rapporto commerciale ed economico con la Capitale Etrusca. Tanto per esser chiari noi da Adria importiamo tonnellate di siluri tipici del Canal Bianco ed esportiamo bastimenti di giocatori di video poker con grande soddisfazione per entrambe le economie. In una situazione di globalizzazione dei mercati è quantomeno fuori luogo riproporre teorie conservative di puro stampo mercantilistico..... senta mi procuri un fernet branca che c'ho un imbarazzo di stomaco da incubo e tra un po inizio a petare senza ritegno!
P.S.: Garcion, presto un fernet per sta giganta tout de suite!
C.C: Grazie Pino, già che ci sono volevo chiederti se il Doctor Erre è ancora senza morosa perchè io sarei un bel donnino e non mi dispiacerebbe come ometto!
P.S.: mi farò latore di questa proposta anche se le comunico che il mio principale è ormai in andropausa e passa il tempo a fare inutili origami ai giardini pubblici. Il tempo è tiranno e ora la devo lasciare, mi attende un'altra intervista con un maniaco paranoico che sta sparando dalla torre pizometrica sugli ignari passanti. La saluto.

sabato, agosto 15, 2009

Messaggio da parte di Lord Buozzi


Stamane, mentre terminavo l'installazione di una batteria anti aerea contro le zanzare nel giardino di casa mia, sono stato raggiunto da un messaggio da parte del carissimo amico Lord Buozzi attualmente in ferie in un'isola a cazzo nell'Egeo. Nel rallegrarmi nel saperlo in piena forma posto con letizia il suo messaggio.

"Carissimo Erre indomito nonché entusiasta cultore delle opere lignee del seicento, brillante giocatore di morra nonché eccelso lanciatore di giavellotto chi ti scrive con sincera amicizia è il tuo vecchio amico Lord Buozzi. Attualmente mi trovo in vacanza in una misteriosa isola dell'Egeo dove coltivo la mia vecchia passione dell'ubriacamento. Il clima è fantastico anche se le continue folate di vento caldissimo fanno ardere il mio gozzo in maniera spaventosa abbligandomi ad estenuanti sedute baresche per chetare l'inumana sete. La cosa che ti volevo far notare è l'imbarbarimento morale dei ggiovani che anche in questa remota landa si lasciano andare a comportamenti lascivi degni del tardo impero romano. Giusto ieri mi stavo recando dal vinaio per accapparrarmi una botte di vino rarissima quando passeggiando per la via ho incontrato due pulzelle le quali senza curarsi della decenza comune annodavano le proprie lingue insieme. Inutile dire che sono rimasto colpito da questo bizzarro comportamento. Dopo alcuni istanti di sbigottimento mi sono lestamente avvicinato alle due e con fare disinvolto ho inavvertitamente posato la mia mano sui glutei di una delle due monelle non certo per libidine ma per constatarne la consistenza e determinarne l'età. A quel punto la ggiovine si è voltata e dopo avermi malamente apostrofato mi ha assestato un ceffone che mi ha fatto traballare. Caro amico non esiste più rispetto per i vecchi sporcaccioni e a mio modesto avviso il mondo è destinato ad un'era di barbarie se lasciato in mano a codeste orde ggiovanili. Ora ti saluto, mi attende una china martini calda prima della passeggiata notturna sulla battigia.

Carissimo Lord Buozzi non posso che esternarti tutta la mia solidarietà ma i tempi cambiano e con loro anche le usanze delle genti. Ti consiglio anche di smetterla di andare davanti alle scuole magistrali vestito unicamente di un impermeabile perché potresti incappare in qualche genitore ipersensibile. Ciao.

domenica, agosto 09, 2009

FAZIONE ATTACCA: Prodotti Avitaminici


L'incendio
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Io e' il Ciocco eravamo cresciuti assieme, stesso palazzo, stesso asilo, stesse elementari, stesse medie e stesso biennio di superiori…poi stessa officina. Il fatto di essere sempre assieme ci aveva alla fine isolato dal resto degli altri ragazzi facendoci, al fine, chiedere perche' ci evitavano tutti come delle merde di cane ben visibili su un pavimento di marmo bianco. La risposta ci venne dopo alcuni reiterati tentativi di approccio con il gentil sesso: eravamo brutti e anche poco simpatici. Insomma la nostra accoppiata era come un ambo di numeri che mai nessuna ruota sarebbe stata in grado di esporre. Nel nostro simbiotico rapporto amicale ci eravamo scordati di coltivare la sana abitudine umana dei rapporti sociali rendendoci avvezzi unicamente ai nostri hobby. Dopo lunghi e tormentosi ragionamenti filosofici avevamo deciso di abbandonare definitivamente la scalata al regno immacolato della socialità umana, del resto la società contemporanea ci offriva palliativi e placebo sicuramente atti a soddisfare i nostri bisogni sia interiori, intellettuali e perche' no anche fisiologici. Eravamo due statue di cera, eravamo scorbutici, eravamo brutti e magari puzzavamo…ma chi, ditemi, chi non lo e' in fondo all'anima? Insomma il nostro lavoretto settimanale ci permetteva la soluzione ed il soddisfacimento dei nostri trastulli di fine settimana, ma oltre a quelli ci eravamo pure ingegnato un simpatico post- lavoro per pagare la nostra barchetta per la pesca. Il commercio secondario, questo bel polmone, ci aveva reso autosufficienti, pescatori fatti con natante in proprio. Il lavoretto consisteva nella dura e perigliosa opera di smaltimento di batterie esauste e oli bruciati. Insomma un lavoro che nessuno amava e che ai proprietari di officine costava più del giusto. In tempi di libero mercato, di globalizzazione, di incontro tra domanda ed offerta noi avevamo trovato la nostra nicchia di sopravvivenza. Le batterie finivano al fiume, cazzo con tutti i veleni che ci stavano già di suo che cazzo avrebbe voluto dire un mezzo litro di acido solforico in più? Per gli oli tutto nella fogna, ale' un mezzo quintale qua e un altro mezzo là. Nel giro di un anno avevamo dato degna sepoltura a qualcosa come duemila batterie e la rete fognaria s'era bevuta qualcosa come tremila litri di liquidame denso e nero. Gesù va pur detto che il lavora aveva i suoi rischi ma la barca s'era pagata in un batter d'occhio. Alla pesca si usciva il giovedi' notte, notte propizia per la pesca di tutto. I metodi erano quelli più proficui e meno noiosi, reti irregolari, elettricità e nelle notti estive con temporali bussolotti carichi di carburo che dopo il botto rendevano alla superficie il pescato. La pesca e' uno sport che rilassa, rende l'uomo sereno e le pance satolle. Quel giovedì eravamo davvero carichi, dopo un paio d'ore al bar a bere birre ci eravamo messi in moto verso l'attracco del nostro supremo natante usufruendo della macchina del Ciocco, una bella 128 di proprietà del nonno del sopra citato. Il vegliardo ormai stava steso da tre anni su di un letto con tanto di catetere e bacinella per le repentine evacuazioni dato che un ictus tremendo gli aveva tolto l'energia elettrica da tre quarti del corpo. Gli si muoveva solo un occhio e l'unica parola che riusciva a dire era "merda". Il Ciocco, che in fondo era un bel sensibilone, si era subito affrettato a dar la sua più completa disposizione al mantenimento del mezzo pagando tanto di bollo e assicurazione. Quella era diventata la nostra utilitaria di servizio. Raccolte le canne, le esche ed il materiale da sollazzo ci mettemmo in strada accompagnati dal bel canto degli AC/DC a manetta. Si era preventivata pure una pompa con la negretta che pascolava sulla statale ma eravamo in netto ritardo e non ci sembrava il caso di perder tempo prezioso con una troia nera per giunta. Insomma filavamo tranquilli verso il pontile sull’argine di destra del fiume quando davanti a noi si parò il destino sotto forma di apecar verde cilindrata 125. Quell’ape era del Rognoni, il vecchio frocio merdoso che abitava nella casupola appena fuori dal comune. Lo stronzo lo aveva parcheggiato nel bel mezzo della carreggiata di traverso e neppure una motoretta da invalido ci poteva passare. Il Ciocco, sacramentando come uno scaricatore, piantò il piede sul freno e il 128 mai domo iniziò una sbandata sulla sinistra ma il signore ci era amico e ci fermammo a meno di mezzo metro dal trabiccolo lamierato. “Rognoni figlio di puttana, ‘fanculo frocio di mmmerda dove cazzo stai?” si mise ad urlare il Ciocco. Le tre Dreher da 0,5 gli avevano impastato la bocca ma la mente quella era ancora in grado di reagire. Il Rognoni apparve dal lato della strada da dietro un cespuglio. Un bisogno fisiologico gli aveva interrotto il viaggio di ritorno al suo baracco in stile tardo decadentismo post-industriale. Si stava tirando su la patta dei calzoni e alcune macchie di urina stavano ad indicare che la sua minzione era stata bruscamente interrotta. Aveva il volto rubizzo e l’occhio navigato da trita bottiglie. Con la voce impastata ci disse “Ciao ragazzi, scusate, scusate!! Ma c’avevo la piscia che mi saltava fuori dall’uccello!”. Il Rognoni ci conosceva bene, più di qualche volta al cinema si era intrufolato dietro le nostre poltrone come un avvoltoio in attesa che uno di noi si alzasse per andare al cesso. Come un lupo affamato allora ci seguiva. La proposta era sempre quella: un 5.000 per vedere la brenna, un 10.000 per una toccatine. Devo pur ammettere che in periodi di borsa decrescente ed evidente recessione economica avevamo accettato dei 5.000 e anche dei fogli da 10 ma dio c’era testimone trovavamo quel vecchio un vero abbruttito e degenerato. Io personalmente lo avrei bastonato di brutto tutte le volte e gli avrei fregato pure il cuoio con i soldi dentro, un’opera di giustizia credo, ma il Ciocco si divertiva a vederlo con gli occhi fuori dalla testa in attesa che gli si svelasse l’attrezzo davanti agli occhi. Appena lo vide spuntare da dietro il cespuglio al Ciocco brillarono gli occhi. Ci vidi un lampo mefistofelico, diabolico, da vero demone. Io ero un letterato, avevo letto tutto Stephen Kink e Lovercraft, visto i film di Dario Argento e ben sapevo cosa era uno sguardo mefistofelico. Mi piaceva quel “sguardo mefistofelico” suonava bello….gotico. Come dicevo il Rognoni era in preda alla “fiaschite” ebbro di vino e altre porcherie da due soldi bevute senza risparmio in qualche bettola da ubriaconi putrescenti. Nonostante la sbronza che gli filtrava fuori dai pori della pelle come una luce dal fondo della fogna, il vecchio baldraccone era sempre in argomento: il dio cazzo serpeggiava dentro quel gomitolo di merda che era il suo cervello. Il Ciocco si voltò e mi disse piano piano: “ Oh oh guarda guarda Mirko chi c’e’ il Sindaco Rognoni….soldini in cassa questa sera!!!”Rimasi perplesso ma devo dire che l’idea mi faceva anche ridere, era un sacco che non spillavamo soldi al vecchio baluba. “Ragazzi, ragazzi miei cari ragazzi che dite di arrivare fino a casa mia vi offro un liquorino…eh che dite!!” disse la fogna umana. Rimasi a fissarlo in faccia a guardare quella bocca informe e impastata, quella faccia consumata e ricoperta da sudore e grasso, quegli occhi da porco schifoso. “Perche’ no…fa freddo dai Rognoni che magari ti faccio vedere il tubo” disse il Ciocco prima ancora che io riuscissi ad aprir bocca. Ero perplesso, ma mi dicevo dentro di me che manco per un milione gli avrei fatto toccare l’uccello, mi avrebbe attaccato chissà quale serie infinita di tumori quella merda là, se era davvero in vena di far soldi il Ciocco ci avrebbe messo del suo, io mi sarei sgollato un grappino e poi fumato una sigaretta, che cazzo!!. Montammo in macchina e precedemmo il bicocca verde del vecchio presso la sua imperiale magione. Dio Cristiano una topaia da incubo, pezzi di lamiera e galline che scorazzavano davanti l’uscio. Il Rognoni arrivò traballante e pieno di voglie dopo poco. A piede malfermo si avvicinò a noi battendoci le mani sulle spalle, a me gli venne pure la voglia di toccarmi il culo, lo lasciai fare, non volevo cacciar grane. Puzzava di scoreggia marcia, vino e tabacco da quattro soldi. Entrammo e ci si parò davanti agli occhi il suo antro. Una specie di salotto lurido, un vermaio dove un puzzo di sperma secco e vomito aleggiava come una nebbia infernale eterna. “allora che dite, dai beviamo qualcosa e poi vi faccio vedere un bel filmino ehh!!!” “dai porcello fuori il film e l’amarena” Al vegliardo brillarono gli occhi. Dalla sua cineteca tirò fuori uno dei suoi pezzi forti. Un filmino olandese da incubo. In una vecchia fattoria tre uomini nudi fottevano una donna talmente fatiscente che nemmeno se mi fosse presa la lebbra mi sarei fatto. I tre la sbattevano come uno straccio pieno di polvere, poi si misero a fottere fra loro e tocco finale dalla vecchia stalla nella vecchia fattoria tirano fuori un maiale e alla donna gli fanno toccare l’attrezzo suinesco. “ “Porca di una puttana ma fa schifo al cazzo stà roba, dico vecchio pazzo ma dove la trovi?” mi venne da dire. “Amici, me le danno i miei amici”. Provai ad immaginarmi i suoi amici, me li vedevo saltar fuori da una pozza di fango il cui fondo si adagiava al buco del culo dell’inferno. Gente con due teste mezzi cani mezzi draghi. Porca di una troia che macellame. Il Ciocco era a bocca aperta e il vecchio bavoso aveva allungato la mano. Vidi la faccia del Ciocco trasformarsi da una maschera di stupore a il volto di un quadro astratto fatto di fulmini gialli che saltavano fuori dalla tela. Il vecchio spurgo rimase fermo un attimo capendo l’entità della cazziata marziale che aveva commesso, al Ciocco scoppiò un temporale in testa e spinse via il fagotto di carne ammuffita con un urlo. “Vecchia cotica di merda, porco schifoso non ti azzardare a mettermi le mani addosso, io ti ammazzo!!” Ero indeciso se pensare se si trattasse di una bella pantomima per spillare qualcosa di cartaceo a valore corrente pagabile al portatore allo spurgo oppure se al Ciocco non fossero risaltate fuori delle reminiscenze da crociato protettore della morale, nel dubbio mi ero alzato dal comodo divanetto e mentre infuriava la tempesta d’offese e spinte mi misi a gironzolare per la bicocca del pederasta in cerca di souvenir per la serata. Mi spostai in cucina e aprii il frigo…macchè zero di zero solo vinaccio di bassa qualità e mezzo pollo lesso,doveva essere la dieta che contribuiva al declino morale di quell’uomo pensai. Intanto il trambusto iniziava a farsi un po troppo pesante e decisi di ritornare sulla scena della diatriba. Eccoli là, il Ciocco paonazzo che riempie di calci sullo stomaco il Rognoni piegato in due come un volantino del supermercato infilato nella cassetta della posta. “Hoi Ciocco datti na calmata o lo stronchi questo vecchio polmone, si va dritti all’inferno per questo, peccato mortalissimo!”. Ma niente, l’occhio assassino del Ciocco non si spostò neppure per un attimo dal suo bersaglio. Cazzo si faceva bruttina la storia. “Basta, basta, vi denuncio, vi faccio finire in galera bracconieri, ladri, bastardi figli di troie” aveva iniziato a piagnucolare il rottame dal tappeto stile persiano. Ci fu un attimo di pausa, ma era solo la calma prima della tempesta perché ormai il Ciocco era in preda ad una possessione voodoo poi alla fine prese in mano il televisore che proiettava l’immagine di un culone aperto e dopo averlo sollevato lo fracassò sulla testa del vecchio. Cristo d’un Dio, fece un crac seguito da fumanelle mentre il corpo del Rognoni si dibatteva come un pupazzo…poi niente. Sentivo il respiro del Ciocco riempire la stanza, lì fermo impalato, con il boccalone aperto a prender mosche. In piedi come un gladiatore che dopo aver fatto a pezzi l’avversario rimane intontito dal sangue e dalla fatica. Qualcosa di epico! Mi accesi una sigaretta ingollando un po di birra da una lattina che si era salvata dalla lotta, mi si era seccata la gola e non posso nascondere che una leggera strizza iniziava a contrarmi il culo. Mazza, avevamo o meglio il Ciocco aveva accoppato il Rognoni, mica che fosse stata una gran perdita ma poteva significare la fine delle nostre imprese commerciali. Proprio adesso che si pensava di cambiare vita, proprio adesso che magari si stava facendo avanti l’idea di una ragazza, di un lavoro serio, una casa, una famiglia. Due vite interrotte, rovinate da un incontro con il fato assassino. No, non mi andava la storia. Intanto il Ciocco si era ripreso, lo avevo sempre detto “Ciocco te ti fai pigliare dal nervo un po troppo, come quando si va alla pesca, c’hai troppa fretta e poi combini il casino.” Era come un bamboccione senza controllo a cui avessero tolto l’energia, piegato sulle ginocchia rimaneva seduto sulla poltrona sporca di birra sangue e sbroda ammuffita del vecchio guardandone il corpo senza vita come si guarda un gatto morto stecchito sul ciglio di una strada. “adesso che si fa? dobbiamo scappare Mirko, dobbiamo darcela a gambe cazzo!”. Ecco che non ragionava più, c’erano tracce e impronte nostre su ogni dove dentro quella topaia e magari qualcuno aveva visto la nostra macchina in precedenza sulla strada, ci voleva freddezza, intelligenza e calma. Il tutto si era svolto in nemmeno 30 minuti, che sono trenta minuti, magari un cazzo sbilenco con il suo fighino mentre si imboscavano nella boscaglia avevano sentito o visto il nostro macchinino scendere per la strada, ma erano solo trenta minuti. Mi guardai un attimo in giro, dove stava il punto debole di quella casa? La cucina: riscaldamento a gas, bombola di propano…ottimo. Decisi per un breve sopralluogo in esterno, speravo di trovare la bombola di riserva, questo vecchio sporcaccione era troppo pigro per averne una sola alla volta. Come previsto trovai la bombola, anzi le bombole nel retro della casa. Ottimo i pezzi iniziavano ad incastrarsi come volevo io. Il riscaldamento: elettrico, che puzzone schifoso, manco una stufa a kerosene! Dissi al Ciocco di non fare lo smemorato di Cologno e di smuoversi un attimino che si andava di fretta per salvare il nostro beneamato culo da quell’inghippo in cui la sua poca padronanza di nervi ci aveva buttai. “Cazzo Ciocco dai togli il televisore dalla testa del Rognoni e rimettilo sul suo tavolino e poi porta il corpo qui, mettilo seduto sulla poltrona. Mi raccomado girala verso la porta della cucina.” Detto fatto, il mio amico Golem forte della sua bruta ed innata energia si era messo in moto. Ci voleva un tocco di grazia. Corsi in cucina e con uno straccio presi in bottiglione del vinaccio dal frigo. “Bona lè! Si brinda , dai Ciocco senza esagerare aprigli il boccalone alla carcassa” “Ma che cazzo vuoi fare? Sei andato giù di matto Mirko?”. Perché mi sono sempre chiesto, perché le persone fragili di nervi e con l’intelligenza corta devono sempre fare domande o chiedere chiarimenti ai geni! Che cazzo! “Non fare domande cretine dai aprigli quella fogna che lo riempiamo di buon Trebbiano doc, almeno che voli in cielo bello carico. Il ciocco gli apri la bocca e con un dito tenne aperta la gola in modo che il vinaccio si infilasse giù dentro il sacco stomacale della carogna che già puzzava di putrefazione. Ecco era tutto pronto. Era tempo di preparare la bomba. Entrai in cucina , presi un bricco e lo riempii di acqua e poi lo misi sul fuoco, nel mentre allentai un po la gomma della bombola e li vicino ci appostai l’altra. Poi in salotto e accesi la stufa elettrica. Rientrai in cucina e con un soffio spensi la fiamma del bricco. Era tutto pronto. “Bona Ciocco si smamma!” Salimmo sul vetturino e a fari spenti iniziammo un ritorno non tanto spedito, sarebbe stato fatale uno sbarro lì nel buio a uno sputo di metri dal luogo del futuro lancio nello spazio del novello cosmonauta Rognoni Egidio. Nel mentre il gas aveva invaso la cucina e poi si era insinuato in salotto, veloce e silenzioso come un serpente il gas aveva raggiunto le resistenze arrossate della stufetta elettrica e le molecole avevano iniziato ad interagire sempre più veloci in un fascio di fuoco, poi l’esplosione e poi la seconda, terribile, un botto cosmico. Nell’oscurità vedemmo una fiammata innalzarsi verso il cielo. “Cristo, diritto sulla luna, Vai Rognoni fatti onore!!!” Nell’oscurità vedemmo apparire di lontano i fanali di una macchina, facemmo un po di retro per osservare il primo incredulo visitatore. Erano due coppiette di sbarbatelli con il vetturone del babbo a prestito, adesso avevano materiale da raccontare per settimane ai loro confratelli di discoteca. Nel mentre noi due prendemmo una stradina che portava a ritroso sulla statale lungo il boschetto. Arrivammo giusti giusti mentre uno dei pisquani chiamava il 113. Dio che meraviglia avevamo un alibi anche per quello. Quattro fresconi eccitati dalle fiamme che ci avevano visti arrivare dritti dritti dalla parte opposta al lancio spaziale. I primi ad arrivare furono i poliziotti con un ritardo netto di 25 minuti dal lancio, ormai il secondo stadio del vettore si era sganciato negli spazi siderali e l’animaccia del Rognoni veleggiava in assenza di gravità nei freddi siderali. I pompieri arrivarno con 40 minuti di ritardo. Uno scandalo se permettete cazzo!! Era davvero troppo tardi, eccolo là il Rognoni immerso negli anelli di Saturno, grazie alla spinta gravitazionale del pianeta avrebbe adoperato l’effetto fionda per uscire definitivamente dal sistema solare. Amen! Le ore passavano, si era fatto chiaro e il capannello di curiosi stava scemando. Decidemmo per il rientro, la nottata era stata lunga e perigliosa e non si era pescato niente. Tempo perso per il cazzo.
Il giorno dopo andammo in commissariato a dire la nostra, che poi era un meno di zero. “Si noi siamo arrivati lì e abbiamo visto il mercedes bianco fermo…e il fuoco……no non so come sia stato….no…non ho sentito lo scoppio, ascoltavo la radio….si faceva un giro….si credo di si…sa, noi siamo gente che lavora di giorno….la pesca…ma non ce la siamo sentita di andarci eravamo impressionati…si ecco la licenza.” Bene grazie e arrivederci! Il Ciocco fece lo scimmiotto e questo gli veniva da Dio, che volere di più dalla vita…uno stracazzo di Lucano magari?
Al bar non si parlava d’altro, del vecchio porco che si era fatto saltare in aria a casa magari perché aveva bevuto…quel vecchio maiale. I capitan coraggio saltavano fuori come funghi. “se lo meritava, gli avrei spaccato le ossa se solo lo vedevo girare intorno alla mia ragazza” “Poco ci mancava che un giorno gli sparassi col fucile da caccia…a quel porco guardone…se l’he meritata!”. Eccoli là come un branco di iene addosso alla carogna frolla che imputridisce, belli tronfi, ma che vergogna. “Ma in fin dei conti era un povero disgraziato, senza famiglia, senza niente, faceva più pena che schifo!” mi intromisi. “Che ne sai te Mirko di quello, mica c’hai na figlia o na ragazza…sempre chiuso dentro quell’officina, che cazzo ne sai!” Giusto che cazzo ne potevo sapere io. Intanto i giorni passarono e si venne a sapere che del Rognoni se ne erano trovati dei brandelli qua e là mezzi carbonizzati e se non fosse stato per un pezzo di faccia abbrustolita con quattro denti attaccati manco si sarebbe potuto dire che quel poco che rimaneva di ciccia carbonizzata fosse stata la sua. Poi saltò fuori che avevano trovato un pezzo di panza con mezzo stomaco assalito da vermi e che le analisi davano quasi per certo che si era sgollato molto alcool il buon Rognoni. La solitudine fa questi effetti, uno beve, beve si dimentica il bricco e la bombola di ricambio in casa, s’addormenta e si ritrova proiettato al centro del sole come uno stronzo a spasso nello spazio. Tutto molto triste. Il tempo ha sanato queste ferite, tutto è ritornato normale. Io mi sono trovato una fidanzata con i fiocchi, si chiama Emanuela ed è una topina davvero bella. Suo babbo ha un supermercato e gli piacerebbe che lavorassi con lui. In effetti l’officina mi ha un po rotto le palle e devo davvero mettermi in ordine per una vita decente. Dimenticavo, il povero Ciocco l’anno dopo il fatto s’era comperato una moto davvero tosta, peccato fosse un po duro come pilota e ha reso l’anima su un tiglio al km 36 della statale 28. Pace all’anima sua, se avrò un figlio lo chiamerò Maurizio, in sua memoria.

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Il Pacco 4.444


Il radio giornale delle 19.30 inizia la sua litania di notizie sempre uguali, non ho alcuna voglia di ascoltarlo e pigio il tasto di ricerca sul display della radio digitale mentre innesto la quinta e mi assaporo la spinta del motore fluido e potente di questa BMW serie sette.
Guardando fuori dal finestrino vedo il sole che inizia a stemprarsi in rossi sempre più densi mentre nella sua parabola discendente corre verso l’orizzonte di questa bella campagna.
Davvero questa macchina è fantastica, anche se fuori è agosto e il caldo umido fa appiccicare la camicia alla pelle qui con la regolazione della temperatura sono fresco e asciutto. Sento appena la lieve effusione del profumo Versace che lentamente dal mio petto evapora. Mi guardo allo specchietto per incontrare una sezione del mio volto che mi rimanda subito la certezza che sono in ordine. Viso curato, la barba appena fatta, una abbronzatura perfetta che conferisce al mio sguardo qualcosa di ferino, decisamente maschio. Devono essere le mie iridi di questo marrone talmente fondo da confondersi quasi con il nero della pupilla che mi fanno piacere, che mi rendono piacere nel guardarmi. Lo ammetto mi curo, ho rispetto del mio corpo e lo nutro a dovere, lo esercito ad essere sempre pronto, flessibile, vigoroso, bello al vedersi. Odio chi si ingigantisce sotto lo sforzo inutile di estenuanti sedute di palestra, una fatica superflua per fare risaltare una muscolatura che rende goffi, fa dell’uomo un pupazzo, una macchietta per commenti risibili da donnette al mercato. Io ho bicipiti proporzionati al mio peso forma, quadricipiti scolpiti lievemente solcati da vene scure che conferiscono loro la tensione controllata del corpo atletico ma non culturista. Questione di stile, questione di rispetto di se stessi. Guardo le mani poggiate al volante, curate anch’esse, con le unghie tagliate e limate. Sul medio della mano destra noto il leggero pallore della pelle dove la fede nuziale che solitamente porto lascia il suo lieve segno. Ogni volta che sono al lavoro la tolgo, un gesto riflesso credo. Prima di iniziare la ripongo dentro una piccola custodia d’argento che tengo nella tasca interna della giacca o del paltò nei mesi invernali. Non mi piace l’idea di commistione tra famiglia e lavoro, sono due cose distinte, separate che non hanno nulla in comune. Professionismo anche nel dettaglio. La radio non fa altro che trasmettere musica da discoteca o fiacchi motivetti che periodicamente come tormentoni ineludibili trasmigrano da una stazione all’altra. Le case discografiche, le emittenti televisive musicali devono spendere un bel po di quattrini per foraggiare il loro marketing spingendo i loro autori sull’emittenza locale o piazzandoli in qualsivoglia programmucolo televisivo. Penso che siano in fondo delle risorse mal gestite, dovrebbero puntare sulla qualità, incoraggiare degli autori con idee nuove…un po di coraggio e invece nulla. Spengo la radio e inserisco un cd. Mina i classici. Adoro questa sua voce, splendida, raffinata, tagliente e calda. Forse e meglio che rallenti non vorrei incappare in una pattuglia della Polstrada, diventerebbe imbarazzante essere fermato e poi essere costretto a dar spiegazioni del pacco nel bagagliaio. Magari lo potevo mettere nel sedile posteriore ma sono sicuro si sarebbe notato troppo. Porto l’andatura sotto i 130, non cambia poi molto sulla tabella di marcia anzi a ben pensarci sono in netto anticipo. Prendo il cellulare e chiamo Sara mia moglie. Il telefono trilla un po poi sento la sua voce rispondermi.
“ciao, sono io, siete già tornate dalla piscina?”
“Ciao Massimo, si siamo già a casa, Luisa è fuori in giardino, sta organizzando il party per le sue bambole, non ne vuole sapere di salire a farsi la doccia…figlia testarda sai! Deve aver preso da te.”
Sorrido immaginandomi la mia “piccinina” intenta a disporre tavolinetti di plastica per il piccolo party lillipuziano per le sue bambole.
“Massimo credi di esser a casa per cena?”
“Mi sa tanto di no Sara, sono ancora molto indietro e devo ancora vedere l’ultimo cliente, una seccatura, penso che andrà un po per le lunghe. Non aspettatemi, cenate, quando arrivo io me la cavo da solo, lo sai che sono un cuoco provetto!”
La sento sorridere e mi immagino quel suo largo sorriso che le conferisce quell’espressione unica. La mia Sara, otto anni di matrimonio e mi sento ancora innamorato di lei come quando ci siamo conosciuti il primo anno di università.
“Ok signor cuoco noi mangiamo i ravioli della nonna tu arrangiati con la solita scatoletta di tonno; non è il piatto che ti riesce meglio?”
“Esatto…esatto…ciao ci vediamo dopo…bacio!”
Spengo e ritorno a concentrarmi sulla strada. Mi viene da pensare a mia figlia, tra un mesetto e mezzo farà la seconda elementare. Spero che non si trovi ad aver a che fare con le stesse stronze maestre dell’anno scorso. Mi viene in mente quando un pomeriggio rincasando l’ho trovata col visino affranto perché una delle galline le aveva rifilato uno schiaffo. Il giorno dopo sono corso alla scuola per parlare col direttore. Ho fatto una raccomandata al distretto scolastico e una denuncia alla polizia. Quella stronza isterica l’ho fatta mettere in riga dal mattino alla sera. D’accordo, ho ritirato la denuncia ma ho preteso scuse formali e l’assicurazione che mia figlia non avrebbe mai più avuto a che fare con povere malate come quella. Picchiare mia figlia per una sciocchezza poi. Da non credere. Mi bolle il sangue a pensarci. Passano un po di chilometri e il cell trilla. Attivo il viva voce.
“Si pronto.”
“Dove sei?”
“Ciao…diciamo in dirittura d’arrivo, passo Ferrara Sud poi prendo la strada dei lidi….diciamo 50 minuti circa, traffico permettendo.”
“Ummh…e il pacco come è messo?”
“Sta nel portabagagli, come la volta scorsa, stesso procedimento, credo che buche a parte non si sia rotto nulla…almeno credo…e poi dai di che ti preoccupi!”
il cell tace per un attimo poi risento la sua voce:
“Si si il trasporto non mi preoccupa più di tanto ma è il caldo…sai non vorrei…diciamo non vorrei che si deteriorasse.”
“Vabbè, fammi trovare una piazzola e poi ci do un’occhiata…va bene così…ti tranquillizza?”
“Ecco bravo..si fai così..se tutto è a posto non richiamarmi…ti aspetto qui,,,intanto preparo qualcosa.. ok?”
“Ci vediamo lì più tardi…ciao.”
Chiudo il cell e lo spengo, per questa sera basta telefonate, devo prepararmi, il lavoro è lavoro nulla và fatto a metà altrimenti sulla piazza mi rovino il nome e se succede sono fuori definitivamente. Credo di aver almeno altre tre quattro anni buoni di attività poi giuro che mi ritiro. Non è il rischio che mi fa dire questo ma l’età e poi la tensione nervosa che con l’andare del tempo aumenta…potrei rischiare di ritrovarmi il lavoro che invade la mia vita personale e sarebbe un disastro. Penso che il mutuo per la casa ci terrà stretti per un altro paio d’anni poi anche quello mollerà. L’attività di Sara va bene e io potrei tranquillamente piantarla con tutte queste trasferte e riprendere la mia attività di fotografo, in fin dei conti tutto è partito da lì e mi sembra giusto che lì debba ritornare. La segnaletica indica un grill a 2500 metri, rallento la corsa, decido di fermarmi per una spremuta, ho la gola secca e poi così prima del rientro in corsia potrò dare un’occhiata al bagagliaio tanto per accertarmi se il pacco è a posto. Parcheggio la macchia e mi incammino verso il grill. All’interno la solita umanità varia e i volti indifferenti della cassiera e dei baristi. Ordino la mia spremuta mentre mi perdo con lo sguardo sui panini esposti. Appena fuori trovo il tempo di fumarmi una sigaretta. Cerco di stare basso con questo vizio, al massimo cinque sigarette al giorno. Prima o poi la devo smettere ma se consideriamo che prima ne fumavo almeno un pacchetto al giorno posso dire che sono sulla buona strada.
Salgo in macchina e riparto ma prima di uscire dall’area di servizio accosto un attimo e passo a controllare il pacco. Apro il bagagliaio e lo vedo. Avvolto nel domopack con le caviglie e i polsi legati da nastro isolante nero il tizio sta coricato con le ginocchia ripiegate sul petto e le braccia dietro la schiena. Una sorta di incaprettamento senza il lacciolo che corre dalle caviglie al collo. Alla bocca ha un boccaglio rosso legato dietro la nuca e riavvolto con dell’altro domopack. Lo guardo bene, non mi sembra messo male più del dovuto. E’ sudato d’accordo e mi pare pure che si sia pisciato sotto ma non cose gravi. Lo fisso negli occhi per un attimo. Ha quello sguardo perso da bambino frignante messo in castigo nella camera buia. Credo che voglia dirmi qualcosa ma me ne disinteresso, gli soffio contro le ultime boccate di fumo azzurrino tanto per farlo tossire un po e poi riabbasso il portellone. Devo dire la verità: le prime volte, quando ho iniziato intendo, certe situazioni mi imbarazzavano, provavo un senso di pietà per alcuni soggetti, o meglio oggetti, del mio lavoro ma con il tempo questa inquietudine si è andata smorzando, una sorta di adattamento emotivo. In fin dei conti è il lavoro, il contratto lo prevede, niente di personale insomma. Riaccendo la radio, regolo la temperatura dell’abitacolo e riprendo la strada. Quando arrivo a Ferrara esco dall’autostrada e imbocco la statale per i lidi. Percorro velocemente questo tratto con il sole alle spalle che spande la sua luce sempre più ammorbidita. Per arrivare sul posto devo percorrere una stradina laterale che porta al limitare di una pineta dove, sparse e ben distanziate tra loro, ci sono alcune case alcune delle quali coloniche. Molte di queste sono state ristrutturate, hanno tutte le comodità e durante i fine settimana qui si ritrovano famiglie, gruppi di amici e coppie clandestine per passare qualche ora in santa pace. Io mi dirigo verso una di queste. La proprietà è delimitata da un portone con grosse sbarre in ferro pitturato di nero e da una recinzione muraria alta più di due metri. La casa è circondata da un giardino dove alberi sempre verde la fanno apparire immersa in una penombra costante. Arrivo e suono tre volte il clacson. Il cancello si apre e io infilo la macchia dentro. Da una delle finestre vedo il volto di lei che mi fa un cenno di saluto, apre la finestra e mi dice:” Lo porti dentro tu o vuoi una mano?” “Mi arrangio da solo non preoccuparti.” Rispondo. Apro il portabagagli e con una strattonata metto il tizio a sedere sul fondo del vano, gli stappo il domopack dal corpo e dalla faccia. Prima di slegargli i polsi prendo le manette e gliele infilo. Lo guardo di nuovo e gli sorrido sardonico. “Dai stronzo che siamo arrivati alla cuccia preparati.”
Mugugna qualcosa di incomprensibile mentre gli slego le gambe. Con una trazione lo faccio saltar fuori dalla macchina e dopo avergli messo un collare lo lego al guinzaglio e lo faccio muovere a quattro zampe sul ghiaino che porta verso la porta dell’abitazione. La porta si apre e oltre l’uscio vedo lei già pronta. Indossa un paio di calze a rete autoreggenti, niente mutandine, ha la figa completamente depilata che sembra uno spacco roseo su un corpo abbronzato fin troppo. E’ lievemente soprappeso con i seni abbondanti da matrona racchiusi in un reggipetto color nero. Porta dei bracciali in pelle nera con piccole borchie argentee. I suoi capelli, tinti, sono di un biondo esagerato, direi volgare, molto volgare. Questa donna ha due occhi azzurri di una freddezza glaciale e un’espressione del volto dura e sprezzante. Le vado in contro e la prima cosa che fa e mettermi una mano nella patta mentre carezza la testa del tipo pelato ai nostri piedi che le si avvicina e le fa le feste davvero come un cane antropoformizzato. “era ora, dai andiamo sono già pronta…vuoi qualcosa anche tu per metterti a tuo agio?” mi chiede con una voce talmente conturbante che stimola la mia eccitazione. “No adesso no, porto il cane nella sala giochi, portami qualcosa di fresco magari intanto che lo preparo.” Lei ammicca e si stacca da me mentre io porto lo schiavo nella stanza preparata per la seduta. La stanza è un salone con le finestre chiuse e ricoperte da tende scure e spesse. Alle pareti nessun mobile se non una cassapanca allungata dove in bella mostra ci sono alcuni pratici accessori. Alcuni vibratori di varia foggia, dei boccagli a palla, una paletta, dei frustini, diversi tipi di catenelle con mollette metalliche. Nel mezzo del locale una panca con fibbie infisse ai piedi dove legare gli arti. Nella parete opposta una croce di S.Andrea completamente nera con anch’essa fibbie e laccioli posizionati a varie altezze. C’è anche una sedia, credo che useremo quella. Strattono il tipo e dopo avergli sganciato il collare gli ordino di mettersi in ginocchio con il capo verso il basso e che non s’azzardi a rialzarlo pena una punizione a base di schiaffi prima ancora che la sua padrona arrivi. Ubbidisce.
Prendo una delle mascherine in cuoio che stanno adagiate sulla panca e gliela infilo on testa. Ha i fori per gli occhi e una cerniera sulla bocca, la apro perché deve lasciare spazio al boccaglio a palla. Lo spoglio nudo come un verme e lo lascio li in ginocchio. Ha il ventre cadente e i muscoli pettorali flosci con una leggera peluria grigia che lo rendono ancor più patetico. Lei arriva in quel momento, ha in mano uno specchietto con un paio di righe di coca. Si poggia a sedere sulla panca e ne tira una con una cannula d’argento di fine fattura. “Vuoi?” mi fa. Accetto lo specchietto con la polverina e aspiro con violenza. E’ un piacevole calore quello che mi prende, “Dai mettiamoci al lavoro” dico subito dopo.
Lei mi si avvicina e mi bacia con forza, sento la sua lingua farsi largo tra le mie labbra, mi succhia la lingua mentre insinua una mano dentro la mia camicia. Il cane intanto rialza la testa, lei si volta e vedendolo si stacca dalla mia bocca e gli ride forte in faccia prima di rifilargli uno sberlone da incubo. “Chi ti ha detto di guardare stronzo?” gli sibila vicino alla faccia. Si rigira subito verso di me e indietreggia verso il volto del tizio parandogli difronte il culo. “Baciamelo stronzo” Il tizio sporge le labbra e bacia le natiche cadenti della sua padrona. Nel frattempo lei mi spoglia, mi toglie la camicia e mi abbassa i pantaloni. Da una bordatura di una delle calze estrae un piccolo lacciolo nero con borchette argentate e me lo infila alla base del cazzo, davvero conturbante. Siamo pronti. Lei si rigira nuovamente e prende per la catena attaccata al collo il cane e lo trascina verso la sedia.
“Prendi il vibro nero dai” mi intima.
Non me lo faccio ripetere e lo raccolgo dalla cassapanca.
Glielo passo come un assistente passerebbe il bisturi ad un chirurgo, lei lo lecca in punta e poi lo poggia sulla sedia e infine intima al cane di sedersi. Il vibro gli sale nel culo lasciando nell’aria il lieve rumore bianco del suo ronzare. “Dai fottimi adesso” mi ordina.
IO le vado dietro e la prendo per i fianchi prima di penetrarla. Siamo a terra davanti agli occhi sbarrati del tipo che seduto sulla sedia fissa negli occhi sua moglie che mugolando rotea la linguina fuori dalla bocca. “Scopami, sbattimi, dai maiale, fammi godere come questa merda non riesce a fare!” ha la voce rotta e calda, ansima pesantemente, gode.
La scopo con forza e sento il sudore che mi corre giù per il petto e la schiena, mi concentro con la vista sul cordoncino nero torchiato alla base del mio cazzo che vedo scomparire sul limitare della sua vulva. Vado avanti così, distaccandomi dalla scena circostante, la durata è uno dei miei pregi, i clienti mi chiamano anche per questo.
Sento che sto per venire e stringo più forte le sue natiche, poi la sculaccio ripetutamente al ritmo dei suoi ansimi. Vengo con un rantolo basso di petto. La sendo godere anche lei. Allora si stacca e con la figa gocciolante si avvicina al cane e gliela sbatte davanti agli occhi poi con una mano lo carezza sul sesso e in un silenzio rotto solo da ansimi brevi ed isterici viene anche lui.
Nel mentre io mi sono seduto sulla cassapanca e mi asciugo la fronte dalle goccioline di sudore che la imperlano. “Accendi la luce grande dai che lo slego” mi fa lei. Ubbidisco.
Dopo un po il Notaio Branzini sta in piedi abbracciato alla sua gentile moglie la Dott.ssa
Lermi famosa commercialista felsinea. Da parte mia mi sono già ricomposto e uscendo faccio loro cenno che li aspetto in salotto di là. Sono teneri nel vederli abbracciati mentre si sbaciucchiano come due diciottenni. Dopo un po mi raggiungono, prendiamo un caffè insieme chiacchierando del più e del meno. Guardo l’orologio e sono già le 23.00, ho ancora 100 km prima di ritornare a casa. Ci accordiamo per un altrio incontro per il mese prossimo, mi congedo da loro salutandoli calorosamente mentre con una mano prendo l’assegno circolare che l’avvocato mi porge. Uscendo prendo la mia macchina e guardo la bmw serie sette che anche io vorrei avere. Prima o poi me la compero, dico sul serio. Prendo la via del ritorno lanciando uno sguardo allo specchietto retrovisore. Mi rimanda una sezione del mio volto. Intuisco di essere a posto, una lieve ombreggiatura sul mio volto mi segnala che la barba sta ricrescendo, un lieve gonfiore sotto l’occhio nero e caldo mi avverte che ho bisogno di un sonno riparatore delle fatiche quotidiane. Ho cura di me, rispetto del mio corpo. Nel riprendere l’autostrada mi fermo ad un altro grill, bevo un altro caffè e da uno scaffale prendo dei dolciumi e un giocattolino per la mia “piccinina”.
Quando arrivo a casa le luci sono spente. Porto la macchina in garage e mi fermo un attimo in giardino, il caldo ha fatto ingiallire l’erba, domani provvederò a bagnare un po il prato, fisso le bambole di mia figli a abbandonate in un angolo del giardino. Sorrido. In casa regna il silenzio e faccio di tutto per mantenerlo. Spio in camera da letto e vedo Sara che riposa immersa nel sonno del giusto. Entro di soppiatto nella cameretta della piccola e ripongo il giocattolo e i dolciumi sul suo comodino. Sorrido in silenzio prima di dirigermi al bagno. Sotto la doccia penso che ci vorrebbe un impianto a goccia per il giardino, ma ci penserò domani, magari nella mattinata prima di prendere la mia famigliola per andare a pranzo da mia madre. E’ bello essere a casa.